Marta e Kyle sono due operai che lavorano per una fabbrica di bambolotti di gomma in una cittadina dell’Ohio. Le loro monotone vite sono legate da un rapporto di amicizia, seppur tra i due ci sia una notevole differenza di età. Questa situazione sarà turbata dall’arrivo in fabbrica di Rose, una ragazza ventitreenne con un passato burrascoso ed un presente ambiguo.
Il film di Soderbergh è un’opera a basso costo, girata in sole tre settimane e con attori non professionisti. Tutto questo si vede, soprattutto nelle reazioni asettiche dei personaggi agli avvenimenti, anche se il coinvolgente ritmo narrativo del film si mantiene costante per tutta la durata, breve, dello stesso. Un minimalismo espressivo che accompagna una storia minimalista.
Storia di questi personaggi alle prese con la loro esistenza fatta di giornate ripetitive, che vengono completamente assorbite dal lavoro di manodopera e dove gli unici momenti di socializzazione sono le noiose pause pranzo. Marta nei momenti liberi si occupa del padre che, essendo molto anziano, ha bisogno d’assistenza; Kyle, che per arrotondare stacca dalla fabbrica per raggiungerne un’altra dove lavora fino a sera, rincasa tardi ed ha solamente il tempo per fare due chiacchiere con la madre, con cui vive, e buttarsi sul letto a dormire.
Bubble può essere diviso in tre parti. Il film, infatti, sembra dipanarsi sotto i nostri occhi attraverso tre registri diversi. Nella prima parte seguiamo i due protagonisti e, sostanzialmente, la sequenza delle loro azioni dentro la fabbrica, la reiterazione dei meccanismi lavorativi e degli ingranaggi meccanici che concorrono alla formazione di un bambolotto, partendo dalla gomma liquida che è versata nelle apposite forme per far sì che abbia inizio il procedimento di assemblaggio delle bambole.
Questo è quello di cui si occupa il ragazzo, mentre la parte di rifinitura sui volti delle creature di gomma, lo sguardo, le sopracciglia, i loro lineamenti sono ad opera del lavoro manuale della protagonista. Quindi sostanzialmente si tratta di un documentario sui ritmi lavorativi di questa anomala –almeno cinematograficamente- fabbrica.
Dall’arrivo della giovane nella fabbrica, i caratteri dei tre personaggi cominciano a delinearsi, facendo uscire, seppur in maniera troppo superficiale perché risulti riuscita, tutti quei tratti ambigui che ognuno di loro sembra possedere, seppure in maniera diversa. Sembra che si sia entrati a tutto tondo in un melodramma dove, pian piano, i personaggi caleranno la maschera per poter vivere la vicenda drammaturgica che alcuni accenni della vita di Rose, alcuni ricordi pieni di rimpianto di Marta e il troppo anomalo piattume della vita di Kyle, rendono gravida di ipotetiche conseguenze narrative da sviluppare ed approfondire, ma che, invece, rimangono solamente delle potenzialità inespresse con un risultato scontato e mediocre, per quanto si mantenga su livelli registici decenti.
Nella terza parte sembra di assistere ad una sorta di poliziesco televisivo, stile who done it molto casereccio e raffazzonato, dove, grazie all’entrata in scena di un commissario di polizia, si tenterà di far luce sul grave fatto accaduto cercando di scoprire il responsabile, che tralaltro sembra abbastanza scontato. Le cause, però, rimangono tutte in superficie e quello che avviene è plausibile solo grazie ad un referente conoscitivo esterno al film, ovvero a causa di come ormai ci si sia abituati al peggio nella nostra società, ma risulta abbastanza immotivato e gratuito da un punto di vista narrativo, nel senso che le conseguenze sembrano avere un rapporto di causalità sproporzionato con le premesse.
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