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DUE GIORNI (E UNA NOTTE) DA SCRUTATORE. REALTA’ E SURREALTA’ DI UN RITO
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Alcuni decenni fa gli scrutatori venivano scelti e inviati direttamente dai partiti. Oggi chiunque può iscriversi alle liste del comune per assistere a partecipare al massimo rito democratico dal suo interno. Questo è il diario di viaggio di due giornate (e mezzo) da scrutatore, vissute durante le elezioni per il sindaco di Milano dello scorso fine settimana. Qualsiasi riferimento ad atmosfere postbelliche e situazioni improbabili è assolutamente voluto.
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di Stefano Zoja
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Prologo (sabato pomeriggio)
Il ritmo cadenzato e rapido dei colpi sul banco dà la prima, immediata idea di cosa sia uno scrutatore, oggi forse più di ieri: un burocrate, armato di penna e pazienza e messo a difesa di un rito. Il rumore è quello metallico del timbro del Ministero dell’Interno che picchia contro le schede elettorali per garantire a ogni elettore la regolarità del suo voto. E’ sabato pomeriggio, sono circa le sei. Due ore prima la ricerca della mia sezione, nella scuola di via Morosini a Milano, una delle numerose sedi nelle quali domenica e lunedì si è eletto il nuovo sindaco.
All’arrivo si mette insieme la squadra: un presidente di seggio, una segretaria e quattro scrutatori. Rapido giro di presentazioni e si aprono gli scatoloni ministeriali. Dentro c’è di che allestire una cartoleria: timbri, inchiostro, fogli, penne, buste di tutte le dimensioni, gomme, registri e verbali. E naturalmente le schede, molte centinaia: azzurre quelle per l’elezione del sindaco, verdi quelle per le circoscrizionali, visto che in contemporanea si eleggono anche i consigli di zona.
Poi ognuno al suo banchetto e si comincia. Gli elettori della nostra sezione sono circa 850. I quattro scrutatori devono vidimare ogni scheda: a ciascuno, fra amministrative e circoscrizionali, ne toccano quasi 450. Su ognuna vanno una firma e un timbro. L’energia iniziale dello scrutatore esordiente si smarrisce presto: la firma per esteso diventa presto una sigla; la sigla, verso la centesima scheda, cede il posto a uno scarabocchio. Poi si passa ai 450 timbri, altra impresa fisicamente impegnativa. L’organizzazione delle operazioni è del presidente di seggio, che conviene sia esperto ed energico, perché la squadra non si scoraggi e non si disperda.
Nel frattempo la segretaria si isola su un banchetto in un angolo della stanza, sguaina la penna e comincia a scrivere e scrivere, su ogni genere di fogli e registri; non si muoverà da lì fino a lunedì notte, profondamente assorbita dal suo compito. Cosa avrà scritto per tutto quel tempo non è chiaro neppure ai suoi colleghi, forse nemmeno a lei.
Alle sette finiamo e sigilliamo la sezione prima di uscire: nastri di scotch per chiudere le finestre e le porte e le nostre firme (ti pareva?) di traverso fra lo scotch e il vetro delle finestre, in modo da controllare che no ci siano state effrazioni. Usciamo dalla scuola con gli avambracci gonfi e le mani indolenzite, stanchi ma allegri. Alcuni poliziotti dormono nei seggi: gli elettori possono riposare tranquilli, tutto è pronto per il voto di domani.
Giorno uno (domenica)
Il giorno del voto non ti aspetti che cambi granché, e infatti alla burocrazia succede tanta altra burocrazia. Ma le operazioni di voto sono soprattutto un inno alla varia umanità, un teatro in cui sfilano attori sempre diversi, tremendamente differenti fra loro e da noi. Persone e personaggi unici, che si raccontano involontariamente con i toni della (piccola) commedia e della (piccola) tragedia, come è normale per la vita, solo in uno spazio e in un tempo molto più concentrati del solito. Uomini e donne di tutte le età, i redditi, i gusti, le opinioni che si presentano, più o meno impacciati, di fronte a uno dei massimi riti che ci rimangono.
Al banchetto del controllo documenti si lavora con poche pause. E mentre ti sfilano sotto le carte d’identità c’è solo da scegliere. Qual è la storia di vita di un’ottantaseienne, di cui leggi “vedova” sul registro, con gli occhi scarichi e il corpo che deve reggersi al banchetto mentre controlli il documento? Mentre si muove verso il seggio magari ti fai qualche domanda. Con chi vivrà? Che malanni avrà? Come mai quel volto così grosso e segnato? …
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“Ma come faccio a piegare questa?!”. Di colpo, dalla cabina esce la vecchina tutta preoccupata, sventolando la terrificante scheda di quest’anno, un lenzuolo di carta largo novantotto centimetri. Naturalmente ha già segnato il suo voto, della cui segretezza non deve importarle granché. Al nostro presidente di seggio però sì: le corre incontro, le grida benevolmente di piegare la scheda, cerca di vincere le sue proteste. Chiaramente si arrende il presidente: prende la scheda, arretra il più possibile e, alla nostra vista, la piega come può dietro la schiena, senza guardarla. Poi di fretta la infila nell’urna, rimprovera scherzando la vecchina; questa sorride e lentamente se ne va.
Ecco, queste due realtà sono incredibilmente frequenti nelle ore che si passano seduti a osservare il voto: i personaggi curiosi, strani o per qualche motivo interessanti e le scene animate, in cui il continuo sfioramento (e, qua e là, sconfinamento) dei limiti sacri di un rito produce surrealtà a getto continuo. Viene una ragazza cieca, accompagnata nel seggio dalla madre che voterà per lei. Un altro uomo anziano esce dalla cabina, matita e scheda in mano, per chiedere di avere una nuova scheda perché ha sbagliato a mettere la croce. Arriva una donna non autosufficiente su una carrozzina, ma non ha il documento che autorizza l’accompagnatore a entrare in cabina. Comincia una discussione che, già si capisce, il presidente concluderà concedendo il permesso.
La macchina del voto spaventa tanti, giovani avvocati o attempate casalinghe: moltissimi uscendo dalla cabina si scusano di non avere saputo piegare la scheda come si conveniva: ma quasi nessuno lo ha saputo fare. Anche le modalità di voto (preferenza scritta? Solo la croce? E dove? E come si fa il voto disgiunto?) preoccupano tanti prima di entrare al seggio. Allora ci chiedono indicazioni, a volte senza rendersi conto di stare esplicitando apertamente le loro preferenze politiche.
Sì, perché uno dei giochi preferiti di qualsiasi scrutatore – cercare di intuire delle persone che entrano se voteranno più a sinistra o a destra – è facilitato a volte da elettori, spesso in là con gli anni, che ti chiedono indicazioni tecniche sul voto segnando a dito delle aree ben precise sugli elenchi dei candidati appesi al muro.
Si vede che il voto emoziona ancora. Soprattutto chi con la politica ha poca confidenza si presenta timoroso, cauto, a volte dimostrando di non avere ancora le idee chiare su chi votare. La ragazza giovane e firmatissima e il metalmeccanico ingobbito si trovano per una volta vicini, entrambi al cospetto di un atto di cui capiscono l’importanza e che in qualche modo li livella, procurandogli le stesse ansie, gli stessi auspici, a volte addirittura gli stessi movimenti. Usciti da qui le loro vite divergeranno in maniera completa per mesi o anni.
La giornata dura quattordici ore, dalle otto alle ventidue, con le sole interruzioni di due pasti, un paio di caffè e, magari, del nostro voto. Ma il tempo scorre bene, spesso in modo piacevole, fra battute con i colleghi e una chiacchiera con gli scrutatori delle sezioni vicine, usciti anche loro a prendere una boccata d’aria in corridoio nei momenti di stanca. In qualche momento, invece, si formano delle code, che, se non durano troppo, sono anche divertenti. Lo scrutatore in questo caso fa la parte di un vigile urbano, che dirige flussi di elettori secondo i tempi del voto e fornisce indicazioni e spiegazioni.
Si esce alle ventidue e quindici, dopo avere sigillato di nuovo con lo scotch porte e finestre. Minimo rinforzo della cena e a letto presto: domani tocca svegliarsi alle sei, per la riapertura delle sette.
Giorno due (lunedì)
Se si esclude il sonno terrificante e il conseguente trauma della corsa al seggio per arrivare puntuali, il lunedì scorre ben più tranquillo della domenica, almeno finché durano le operazioni di voto. Si rivede in piccolo ciò che si è vissuto il giorno prima. Domenica notte abbiamo chiuso con un afflusso che era del 50% quasi spaccato; lunedì la nostra sezione arriverà al 65,5%.
Soprattutto vengono baldi professionisti, che la domenica avevano approfittato del bel tempo per andare al mare; poi qualche universitario, qualche casalinga, qualche vecchietta. In generale si vedono pochi giovani e pochissimi stranieri. Sarà la zona centrale, sarà l’astensionismo, ma viene da chiedersi quanto le persone che ci sfilano davanti rappresentino la Milano che vediamo per strada.
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Come anche il giorno prima, vanno e vengono i rappresentanti di lista, distesi e tranquilli per il momento, sanno che la loro ora verrà con lo scrutinio. Anche loro sono un mondo a parte: ognuno a suo modo è un personaggio da commedia dell’arte, così come le loro interazioni. E’ affascinante vedere che spesso i loro corpi e le loro parole incarnano veramente lo spirito del partito che rappresentano.
Si capisce che c’è più tempo per riposare, per distrarsi e chiacchierare. Soprattutto per impostare quella campagna militare che sarà lo scrutinio delle schede, a partire dalla chiusura dei seggi. Alle 15 verremo sequestrati, chiusi nella nostra sezione senza poter uscire per nessun motivo, almeno fino a quando non si sarà completato lo scrutinio delle amministrative.
Prepariamo i primi di una serie infinita di sacchi e buste che serviranno a rispedire il materiale, i verbali e le schede. “Il sacco 33 bis andrà accluso al sacco 36 ter, contenente le schede contestate, nulle e bianche, fasciate con lo spago in mazzetti separati. Sul verbale di scrutinio si annoterà per ciascuna operazione la sequenza e l’orario… si chiuderà nella busta 32 cir, che verrà chiusa con la carta gommata sulla quale sarà apposto il timbro del ministero e le firme di almeno due scrutatori”…
Sembravano parole sepolte decenni fa, invece la burocrazia, quella mitologica, è tutta qui. A una sensazione di sorda frustrazione, si mescolano il sorriso e quasi un senso di tenerezza: in fondo queste minuzie regolamentari, questa micidiale rete di accorgimenti, è la difesa che abbiamo eretto intorno alla sacralità del voto. Non è la burocrazia per la burocrazia: almeno qui e oggi se ne tocca con mano il fine, e magari si sorride e ci si arrabbia meno del solito.
Ma saranno un pomeriggio e probabilmente una notte molto lunghe. Ci attrezziamo: dopo la pausa pranzo molti scrutatori rientrano con un sacchetto del supermercato, o almeno con il panino e la banana nella borsa. Chi ne ha bisogno si porta degli integratori e i propri medicinali. E si attendono le tre, quando suona la campanella che dichiara chiuso il voto.
Epilogo (un pomeriggio e una lunga notte)
Alla presenza dei rappresentanti di lista, che devono stare lontani dalle schede, si aprono le urne e si rovescia una montagna di carta su dieci banchi che sono stati uniti al centro dell’aula. La conta è un lavoro massacrante, che si conduce secondo la particolare tecnica di ciascun presidente di seggio. Insieme al presidente due scrutatori prendono le schede e ne leggono il contenuto.
Prima si accatastano le preferenze dirette per i sindaci, successivamente quelle che esprimono un voto per un lista, infine quelle che contengono anche una preferenza per un consigliere. Gli altri due scrutatori si dispongono ai lati, con i registri davanti, e spuntano ogni voto sulle tabelle prestampate, ripetendo ad alta voce a ogni chiamata del presidente il numero di voti per ciascuna lista o candidato.
Un lavoro estenuante, ma anche in questo caso si animano situazioni divertenti o paradossali. Soprattutto diventano protagonisti i rappresentanti di lista, che in continua contrapposizione discutono sull’interpretazione da dare ad alcuni voti. Ci sono le croci tracciate male, le preferenze espresse in modo ambivalente o duplice, e tante schede al confine tra validità e annullamento.
Ogni volta si tratta di decidere fra l’applicazione rigorosa e letterale del regolamento – non sempre possibile – e la comprensione delle intenzioni dell’elettore, al di là di mezze cancellature, segni strani, croci imprecise.
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Per ciascun dubbio comincia una discussione che può durare alcuni secondi o anche un paio di minuti... e le schede per le amministrative sono circa 550. Anche in questo caso all’entusiasmo di chi ancora non sa a cosa va incontro (il presidente e gli scrutatori esperti già immaginano la nottata) si sostituisce lentamente la stanchezza per la ripetitività dei gesti, dei conteggi delle schede, suddivise in un’infinità di mazzette per lista o partito. Ormai i banchi affiancati per appoggiarle tutte sono diventati una quindicina: una scena kafkiana, che ci ammonisce sui funambolismi partitici che realizza il nostro sistema proporzionale
In questi momenti si può cercare capire da vicino la mentalità e il profilo degli elettori. Da tempo le statistiche e la stampa in generale si dedicano a spiegarci che gli elettori di un certo partito sono ricchi o poveri, colti o ignoranti, impegnati o distratti, giovano o vecchi. Ma qui vedi le facce delle persone al voto, le loro incertezze, i comportamenti. E quando apri le schede intuisci molte altre cose su chi può avere votato cosa.
I segni tracciati in modo incerto o sbilenco si trovano molto più spesso su certi partiti, mentre in altri casi si nota una mano particolarmente ferma o disinvolta. Allo stesso modo è molto più frequente che gli elettori di alcune liste esprimano anche delle preferenze personali sui consiglieri, mentre per altri partiti ci si limita spesso a mettere la croce sul simbolo. Allora rivedi le facce delle persone che ti sono sfilate davanti nelle ore precedenti e istintivamente giochi ad associarle.
Passano le ore, si arriva ai conteggi finali, e le urgenze fisiologiche si mettono di traverso alla democrazia. Siamo stati chiusi per sette/otto ore filate a contare e ricontare, ora alcuni di noi avvertono il bisogno: accelerare, o infrangere il regolamento e regalarci una piccola pausa? Si decide per un breve stacco: si esce tutti insieme dalla sezione, siamo liberi per cinque minuti, durante i quali ci si sciacqua la faccia, si fanno due piegamenti, si fuma una proibitissima sigaretta. Al rientro molti sfoderano il panino, attenti a non macchiare le schede di maionese, e si dà il via alle somme conclusive per le amministrative. Il conto, miracolosamente, torna. Gli elettori della nostra sezione hanno avuto voce.
Nuova pausa, fuggono persino i rappresentanti di lista, che non hanno troppa voglia di ricominciare tutto da capo per le circoscrizionali: ormai è mezzanotte e mezza e per la scuola, oltre agli scrutatori, si aggira ancora solo qualche giovane candidato per i consigli di zona e qualche poliziotto. Il tempo non passa più, ormai agiamo in maniera perfettamente ripetitiva e automatica; l’atmosfera di stanca lotta contro il tempo è ravvivata da qualche voto annullato per irregolarità assortite (come un accorato “buffoni mangiasoldi!” a tutta scheda).
Arrivano le quattro di mattina, si tirano le somme anche per i consigli di zona. Preghiamo, più per sonno che per spirito civico, che il conto torni. Invece no, risulta un voto in meno rispetto alle schede contate. Niente panico, non ce n’è la forza, solo scoramento. Poi uno di noi ricorda di un voto dubbio, che abbiamo valutato cinquanta volte, per poi decidere di inserirlo. Probabilmente è lui il responsabile. Probabilmente. Lo eliminiamo, ed ecco i totali corrispondere.
Sono le quattro e quarantacinque quando usciamo dalla scuola, dopo aver riconsegnato tutto in sacchi giganteschi, riempiti e sigillati con amorosa e sonnolenta dedizione (la perdita di una matita copiativa può significare un po’ di galera per il presidente di seggio). Fuori sta spuntando l’alba e vicino c’è un fornaio aperto che quasi mi attira. Mi accendo una sigaretta, finalmente. E’ nella calma di questi minuti che intuisco perché tante persone preferiscono prendere l’umanità e la democrazia a piccole dosi.
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(31/05/2006)
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