Sigmund Freud, di cui si celebra quest’anno il 150° anniversario della nascita, non amava tanto la filosofia. In diverse occasioni ebbe modo di esprimere il suo parere negativo su questa disciplina. Se vogliamo sintetizzare la sua posizione, possiamo dire che egli non condivideva il modo in cui la filosofia in genere tratta la persona, considerandola nei suoi aspetti fisico-psichici senza tenere conto dell’inconscio. Inoltre, non concordava sull’esigenza della filosofia di voler comprendere il mondo, di dare un’interpretazione globalizzante e totalizzante, fondata su ipotetici presupposti di perfezione logica.
La psicoanalisi non è la filosofia
Riportiamo le sue parole: “La psicoanalisi – diceva Freud – non è un sistema del tipo di quelli filosofici, che partono da alcuni concetti fondamentali rigorosamente definiti, tentano di comprendere in base ad essi la totalità dell' universo, per poi, una volta compiuta tale operazione, non lasciare alcuno spazio per nuove scoperte e più adeguati approfondimenti. Al contrario essa si attiene ai dati di fatto del proprio campo di lavoro, tenta di risolvere i problemi immediati dell’osservazione, procede a tentoni avvalendosi dell’esperienza, è sempre incompiuta e disposta a dare una nuova sistemazione alle proprie teorie oppure a modificarle”.
Il riconoscimento delle teorie di Schopenhauer
Eppure, Freud non ebbe difficoltà ad ammettere che la sua teoria psicoanalitica doveva molto alle teorie filosofiche di Arthur Schopenhauer. Freud, infatti, scrive: ”Probabilmente pochissimi uomini hanno compreso che ammettere l’esistenza di processi psichici inconsci significa compiere un passo denso di conseguenze per la scienza e per la vita. Affrettiamoci comunque ad aggiungere che un tale passo la psicoanalisi non l’ha compiuto per prima. Molti filosofi possono essere citati come precursori, e sopra tutti Schopenhauer, la cui ‘volontà’ inconscia può essere equiparata alle pulsioni psichiche di cui parla la psicoanalisi. Si tratta del resto dello stesso pensatore che, con enfasi indimenticabile, ha anche rammentato agli uomini l' importanza misconosciuta delle loro aspirazioni sessuali”.
Il concetto di rimozione
L’incontro ideale tra Schopenhauer e Freud avviene sul concetto di rimozione, che è la pietra miliare della psicoanalisi. Il filosofo tedesco sostiene che le nostre speranze e le nostre paure non affiorano alla nostra coscienza che in piccola parte. Egli riconosce che molto della nostra vita interiore ci è sconosciuto perché rimosso; ed è rimosso perché se affiorasse alla coscienza creerebbe un turbamento insopportabile; e ciò accade perché essa contrasta con l’idea che desideriamo conservare di noi stessi. In altri termini, dentro il nostro “io”, c’è una presenza di pulsioni sessuali, di egoismo, di aggressività, invidia, paura e crudeltà, che non riusciamo a concepire nemmeno nei nostri pensieri più reconditi.
Platone l’aveva già capito
D’altra parte, queste affermazioni non sono nuove. Ci riportano a un altro pensatore della filosofia classica, il greco Platone, il quale nella sua opera “Repubblica” sosteneva, tra l’altro, che alcuni desideri, contrari alle leggi, si trovano in tutti gli uomini, e da qualcuno sono “totalmente rimossi, oppure ridotti a un numero esiguo e resi inoffensivi”. Questi desideri si manifestano durante il sonno nei sogni. Ancora Platone dice, infatti: “Questi desideri sono quelli che si svegliano durante il sonno, quando una parte dell' anima dorme (con ciò intendo riferirmi alla sua parte razionale, moderata e predominante), e invece salta fuori l’altra parte, quella animalesca, selvatica, che si riempie di cibo e di bevande, e questa, facendosi largo nel sonno, cerca di venire a galla e di soddisfare le sue aspirazioni”.
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La lotta tra Eros e Thànatos
Ma torniamo a Schopenhauer e Freud. Un altro aspetto estremamente importante lega questi due grandi pensatori. Schopenhauer, infatti, pone la questione della dualità iniziale di Eros (volontà di vita) e Thànatos (volontà di morte), fondandola sull’unità della volontà. Allo stesso modo Freud ammette la dualità dell’istinto di conservazione e dell’istinto di morte, fondandola non più sopra la concezione metafisica della volontà, ma sull’unità della libido, energia pulsionale. In questo modo, con Freud ebbe inizio, per così dire, il declino dell’io nel nostro mondo interno. La parte di attività psichica che ci sembrava riempire completamente il nostro io, a cui corrispondono volontà e consapevolezza, si riduce di molto. La maggior parte dell’io resta, infatti, quella nascosta, affogata nell’inconscio, fatta di sogni, fantasie, impulsi irrazionali.
Dopo Copernico e Darwin arriva Freud
Con Freud si frantuma la sicurezza egocentrica dell’uomo che già aveva subito irrimediabili contraccolpi da Copernico, dopo il quale la terra cessò di essere il centro dell’universo, per trasformarsi in uno dei tanti pianeti in esso presenti, non più significativo di altri; e da Darwin, dal quale l’uomo seppe di non essere al centro delle forme viventi ma solo un anello di un’infinita catena in continuo mutamento. Comunque si intenda la psicoanalisi, come una scoperta decisiva o come, al contrario, una trasformazione moderna della magia, condannata per sempre a restare una pseudoscienza, è impossibile, senza essere gretti e faziosi, non riconoscere il ruolo fondamentale che Freud ha finito per assumere.
Le intuizioni di Paracelso
Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim: questo il nome del medico, mistico, filosofo e alchimista, più conosciuto come Paracelso. Cosa c’entra con Freud? Molto. Anche in quello strano personaggio cinquecentesco, infatti, ritroviamo i temi, quanto mai attuali, che verranno ripresi e approfonditi da Schopenhauer e, suo tramite, dal padre della psicoanalisi. Ci riferiamo alle possibilità conoscitive e creative della scienza medica, ai rapporti tra medicina e magia, alla dicotomia tra illusione e realtà, ai rapporti tra ipnosi, suggestione e inconscio, al gioco fra immagine e immaginario, al sottile filo che unisce sogno e realtà.
La magia mossa da un nexus mataphysicus
Il discorso di Schopenhauer, poi in parte approfondito da Freud, è semplice. Egli sostiene che se l’umanità, nonostante tanti fallimenti, ha inseguito sempre l’idea di magia, ciò significa che debba esserci una ragione profonda per un atteggiamento del genere, almeno nella natura dell’uomo se non in generale in quella delle cose. La supposizione è quella che, oltre alla connessione esterna dei fenomeni di questo mondo, che sta alla base del nexus phisycus, vi debba essere una “connessione sotterranea” grazie alla quale è possibile un agire sulle cose dall’interno con un nexus metaphysicus. Naturalmente, fedele ai suoi principi, Schopenhauer ritiene che “l’origine di questa idea (magia) così generale per l’intera umanità sia da ricercare molto in profondità, cioè nel sentimento interiore dell’onnipotenza della volontà in sé, di quella volontà che costituisce l’intima essenza dell’uomo e al tempo stesso di tutta la natura”.
Tra scienza occulta e magia manifesta
E’ lo stesso Schopenhauer a questo punto a indicare in Paracelso lo studioso che più di altri fornisce il maggior numero di chiarimenti a proposito dell’intimo essere della magia. E’ per questo che egli lo cita in diverse circostanze, riportando una frase con la quale chiudiamo e nel cui sintetico gioco di ossimori si racchiude una verità indiscutibile che potrebbe spiegare anche il senso del successo e del significato della psicoanalisi oggi: “La magia è una grande scienza occulta, così come la ragione è una grande follia manifesta”.
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