IL CODICE DA VINCI: 2 OPINIONI A CONFRONTO
TITOLO ORIGINALE: The Da Vinci Code REGIA: Ron Howard CON: Tom Hanks, Audrey Tautou, Jean Reno, Ian McKellen, Alfred Molina, Paul Bettany USA 2006 DURATA: 149 minuti GENERE: thriller

IL FILM PER LORENZO CORVINO (VOTO 4,5)

Un misterioso omicidio nel celebre museo parigino del Louvre sconvolge l’esistenza del professore di simbologia Robert Langdom; difatti per la polizia francese è lui il principale indiziato. E poi cosa si nasconde dietro il macchinoso e alquanto ingegnoso sistema cifrato di simboli che il custode del museo prima di morire ha imbastito? Probabilmente dietro tutto si nasconde il Priorato di Sion, l’ordine massonico che protegge il segreto del Santo Graal.

Diciamolo subito a scanso di equivoci: il film non morde, né scandalizza, né promuove con sagacia – come d’altronde fa il libro best seller da cui troppo letteralmente è tratto il film – teorie complottistiche o ipotesi religiose piene di fascino. Non si può fare a meno di mettere in parallelo il film con il libro, sebbene si può evitare – come invece al solito avviene in questi casi – di stabilire se è migliore il libro o il film. Non fosse altro perché, secondo chi scrive, il parere sull’abilità narrativa dell’autore del romanzo è alquanto dubbia, visto che così com’è scritto il romanzo è del tutto anticinematografico.

E ad Hollywood cos’hanno fatto? Una volta tanto che dovevano tradire la lettera del testo – come d’altro canto hanno fatto ad esempio proprio di recente, assai malamente e in maniera cafona, con l’Iliade di Omero rivisitata in chiave soap opera in Troy – hanno pensato bene di rispettare la linearità progressiva del romanzo, ereditando tutti i difetti e le ingenuità di un romanzo strutturato non, come si è detto, al pari di un puzzle, bensì al pari di una caccia al tesoro con una serie successiva di prove da superare, neppure fossimo in un libro di avventure per adolescenti.

Il film migliora senza dubbio i dialoghi che nel libro sono assai ridicoli, tuttavia, dall’altra parte, sintetizza troppo, fino a farle sembrare paranoie di un paio di spostati, le svariate dimostrazioni – o presunte tali – che nel libro sono addotte con – ora sì – sapiente forma espositiva dall’autore, benché lo siano più alla maniera di un saggista che di un novelliere: stiamo parlando delle blasonate e ormai non più tanto misteriose teorie della ricostruzione parastorica dell’eredità terrena di Gesù Cristo.

Il procedimento logico-deduttivo che riempie tante pagine del libro, sospendendo a lungo la narrazione, slabbrando il tessuto temporale delle vicende, per cui poche ore corrispondono a centinaia di pagine, viene del tutto sacrificato, non sempre a torto, in nome dell’intelligibilità e del ritmo del film.

Un aspetto che poco forse verrà notato nel film è il tentativo di mettere letteralmente in sovrimpressione la Storia del Passato illustre di tanti luoghi con il Presente: infatti, ad un certo punto, quando i nostri eroi si trovano a Londra durante l’ennesima brillante deduzione del professor Langdom, la Londra di secoli prima ricostruita in digitale emerge come un fantasma, per cui vengono a collimare nei medesimi luoghi cose e persone di dimensioni epocali lontane.

Al di là di un facile espediente spettacolare questa soluzione visiva può essere salutata con una riflessione: mai dimenticare che dove noi siamo ogni giorno della nostra vita è pur sempre un luogo in cui la Storia si fa, e a farla sono pur sempre gli uomini che transitano per dei luoghi, noi di ieri e noi di oggi; e certi posti in particolare restano a testimoniare la continuità del progresso storico.

Nel libro c’è un diffuso sentimento cupo, paradossalmente mistico ed epico nel tratteggiare la possibilità che per duemila anni si è combattuta una segreta guerra in nome del bene e del male, un senso soprattutto escatologico che nel film, spesso frettoloso nel passare da una scena all’altra, scema sin da subito, dopo i primi minuti, fino a scomparire del tutto. Per giunta nella sceneggiatura in generale, e nel finale in particolare, è andato perso il fattore trainante del conto alla rovescia che nel libro è un fondamentale fattore di apprensione per il lettore: l’idea che un invisibile conto alla rovescia stia scandendo l’era contemporanea e qualcosa stia per accadere è sinceramente intrigante.


Se fosse stato mantenuto, ciò avrebbe dato un respiro epico e sovrannaturale al film, che al contrario appare così com’è, soltanto un gioco di ruolo, senza peraltro l’interattività che un videogame simile ti sa ovviamente dare.

Da Cannes, che questo film giustamente ha inaugurato, si è sentito dire che la pellicola è troppo sinistra. Per chi scrive il film non funziona perché, anzi, è troppo poco sinistro: sarebbe servita in questo caso la regia del Coppola di Dracula (1992) per raccontare una storia così forte; irresponsabilmente affidata, invece, a chi per certi versi ha rifatto il suo film più applaudito, A Beautiful Mind: Tom Hanks quando riflette sembra il genio matto e introverso, interpretato in quel film da Russell Crowe; ...e non è un caso se il personaggio del monaco albino Silas, che già nel libro si definisce un fantasma, qui sia interpretato da un certo Paul Bettany, il quale proprio in A Beautiful Mind interpretava il ruolo di un’allucinazione del matematico protagonista, ossia in altri termini una sorta di fantasma anch’esso, per l’appunto. Senza contare che chi firma la sceneggiatura di questo adattamento è la stessa persona autrice di quella di A Beautiful Mind.

E allora diciamo pure che manca un approfondimento dei personaggi ridotti a semplici pedine del meccanismo intricato assunto dal romanzo; essi sono spogliati del tutto del loro fascino ereticale. Mantenendo la struttura a flashback del romanzo, in cui i ricordi dei protagonisti giungono – guarda un po’! – all’occorrenza per trovare le risposte che servono agli enigmi della caccia al tesoro, si cade nel tentativo goffo di dare spessore drammatico senza crederci più di tanto; senza poi contare che qui nel film questi ricordi spesso sono del tutto gratuiti e addirittura confusi per chi non consoce il libro.

Non c’è neppure alcun vero antagonista che incalzi i nostri eroi, mai veramente li vediamo in pericolo, qualcuno che veramente incuta paura: Silas si vede subito che è un cattivo perdente, di quelli disperati da compatire perché hanno una storia triste alle spalle che li ha costretti ad essere quello che sono.

E questo errore di scrittura narrativa, che nega vero pathos alla storia, Ron Howard lo ha già commesso con il recente Cinderella Man, in cui mai percepiamo un senso di pericolo vero e di sconforto senza soluzione, capace di fagocitare veramente la sorte del protagonista. Quantunque siano interessanti i misteri che questo film eredita dal romanzo, non si possono vivificare due ore e trenta soltanto con rivelazioni e sconcertanti eventualità parastoriche, quando il vero traino del nostro interesse, ossia la coppia di protagonisti non è mai veramente in pericolo, al punto che mai siamo chiamati ad essere in apprensione per loro. E ciò può voler dire una sola cosa: rischio noia.

E’ probabile che il film abbia successo commerciale, ma non piacerà quasi a nessuno perché non ci si affeziona ai personaggi, e nella seconda parte l’eccesso di doppiogiochismi stanca.

Resta una questione che il personaggio di Tom Hanks solleva con estrema naturalezza, senza alcun secondo fine: una questione che andrebbe posta ai massimi esperti e che il buon senso ci induce a pensare non sia poi tanto peregrina. Perché viene vista come un’eresia incompatibile con la natura divina del figlio di Dio il fatto che Gesù Cristo, uomo morto crocifisso e poi risorto, si sia sposato e abbia avuto dei figli? Cosa c’è di tanto terribile in ciò?


IL FILM PER ANDREA BORETTI (VOTO 6)

Accolto con una certa freddezza a Cannes dove è stato presentato in anteprima mondiale, Il codice Da Vinci continua a far discutere. Ma se prima la discussione si limitava al contenuto del romanzo, definito di volta in volta blasfemo, sacrilego, antistorico o solo opera commerciale, ora si è estesa alla fedeltà del film al romanzo e all’adeguatezza degli attori scelti ad interpretare gli ormai famosi Robert Langdon e Sophie Nevau.

Andiamo con ordine: il romanzo e quindi la sceneggiatura del film. Giustamente se ne discute, e sarebbe preoccupante il contrario visto ciò di cui tratta, ovvero la presunta discendenza di Gesù Cristo tramite Maria Maddalena. Quindi, bene la discussione che porta la gente a conoscere, a informarsi e ad approfondire argomenti normalmente conosciuti solo superficialmente, un po’ meno bene la continue affermazioni di storicità provata che Dan Brown lancia ai quattro venti su quanto descritto nel romanzo.


Se tutto fosse, come dice lo scrittore, provato, allora ci sarebbe da sconvolgere veramente l’ordine mondiale, al contrario però il romanzo, e ancor di più il film sono cosparsi di affermazioni lasciate a metà, di prove storicamente, almeno per la storia ufficiale come la si conosce, infondate e di molti, moltissimi indizi della incompetenza iconografica di Dan Brown, pensiamo alle sue descrizioni e interpretazioni del capolavoro di Leonardo “l’ultima cena”. Insomma, approviamo il thriller, definito da più parti innovativo e avvincente, bocciamo invece le affermazioni dell’autore, mirate, a nostro modo di vedere, più alla costruzione di un piano di marketing molto efficace (religione, sangue, sacro, profano, ecc…), che allo sconvolgimento di un ordine mondiale secolare.

Fatta questa premessa, per noi doverosa, passiamo ora al film diretto da Ron Howard. I fan lo definiscono poco fedele al romanzo o quanto meno molto molto tagliato, e questa è l’impressione che ne abbiamo ricavato pure noi. Il regista, infatti, sembra essersi concentrato parecchio sulla linea principale della narrazione cancellando, o riducendo ad alcuni inserti, tutte le linee secondarie, a partire dalla storia del monaco Silas, interpretato da un bravissimo Paul Bettany, per continuare con il coinvolgimento dell Opus Dei. Se il rischio della fedeltà assoluta era quello di un’eccessiva lentezza della pellicola, questa scarnificazione impoverisce in maniera determinante la sceneggiatura rendendola debole, o comunque poco chiara, in diversi punti. Detto questo Ron Howard conferma le sue qualità di regista nella costruzione di grandi atmosfere, con luci basse, movimenti intrusivi a scoprire di volta in volta nuove verità, e dettagli anche apparentemente insignificanti, ma che fanno di ogni suo film un film vero, pieno, godibile. Rimane un po’ debole nelle scene d’azione e di movimento puro che appaiono, invece, un po’ confusionarie, ma dopo quanto detto prima questo è il peccato minore

Al contraio, è sempre convincente l’interpretazione degli attori. Buona la prova di Tom Hanks, riflessivo ma pronto a scattare al momento giusto, apprezzabile quella di Audrey Tautou, che non convince i fans ma esce comunque bene dalla difficile prova e veramente magistrale quella di Ian McKellen, il suo personaggio, lo storico Tibbing, è quello che da il maggior movimento e vitalità al film, il vero motore dell’azione.

Nel complesso quindi Il codice Da Vinci è una pellicola che si basa su un thriller avvincente, a nostro parere non va considerato niente di più, del quale però riesce a trasmettere solo in parte l’appeal nella parte centrale del film. Ben recitato e ben diretto, ha comunque delle mancanze importanti che lo rendono, in conclusione, un film riuscito solo a metà.


(20/05/2006)