L’USO SOCIALE DELLA MUSICA
Tutto il Novecento è attraversato da un tipo di musica che, per semplice ispirazione o per riferimenti culturali specifici, ha citato gli avvenimenti sociali e politici del secolo. E’ probabile che la canzone popolare, soprattutto quella italiana, abbia contribuito a formare una coscienza storica: in quest’ottica, la canzone popolare non è uno specchio dell’epoca in cui si realizza ma una vera e propria fonte di comunicazione della storia.
di Azzurra De Paola
La prospettiva della musica come elemento di trasmissione storico-culturale necessita l’eliminazione di una parte di critica che vede la musica come il luogo delle banalità, dei luoghi comuni. C’è da riconoscere che, a differenza di paesi come la Francia dove la generazione di intellettuali collaborava in maniera continuata alle composizioni musicali, in Italia- fatta eccezione per taluni casi quali Italo Calvino o Franco Fortini- è mancato il sottotesto poetico alle note musicali. Bisogna, però, riconoscere che spesso i testi di cantautori come De Andrè o Guccini sono stati paragonati, dalla critica, alle poesie di Lewis Carroll o Walt Whitman.

Da sempre, la televisione ed il cinema e la carta stampata sono stati oggetto di dibattiti su cosiddetto uso pubblico della storia; da qualche anno a questa parte, la politica e la musica hanno trovato un terreno comune negli anni in cui la politica tentava di interpretare i nuovi linguaggi dei movimenti giovanili, come testimonia il testo Istat “La musica in Italia” viene scritto che: “la potente funzione che la musica ha per i giovani per ciò che riguarda la formazione dell’identità culturale a livello individuale e collettivo, fenomeno per cui l’ascolto di musica non è motivato esclusivamente dall’interesse per il messaggio musicale, ma anche da altre spinte che hanno a che fare con processi di socializzazione e formazione dell’identità”.

Le inchieste giornalistiche testimoniavano che, quando nel 1998 esplose il movimento degli squatter la trasmissione di valori e contenuti non si ebbe attraverso i testi dell’anarchismo di Bakunin o Malatesta, bensì attraverso le proteste di gruppi musicali quali i Sex Pistols ed il loro inno The Anarchy in UK dove riecheggiava il tema dell’utopia anarchica di fine Ottocento e la protesta nichilista; allo stesso modo, con le dovute differenze, si può tenere presente il brano rap che Jovanotti nel 2000 rivolse all’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema perché azzerasse il debito pubblico con i paesi de Terzo Mondo; ancora, nel 2001, in occasione del G8 di Genova, il leader degli U2, Bono Vox, Jovanotti e Bob Geldof hanno intrattenuto una conversazione con alcuni leader mondiali sul problema della globalizzazione, nella stessa occasione il canatnte Manu Chao si è fatto portavoce di messaggi, non solo musicali, per i giovani.

Il 1969, durante concerti come quello Woodstock, inaugura una nuova epoca dove la musica diventa strumento di aggregazione e luogo di comunicazione: emergono nuovi linguaggi che, confrontati a quelli dei giovani di trent’anni prima cresciuti leggendo Adorno, Che Guevara e Don Milani, sottolineano la marginalità che il testo scritto è andato via via assumendo; alla fine degli anni sessanta, cantanti come Bob Dylan trasformano la canzone in messaggio. Nel 1995, alcuni dati statistici indicavano che gli italiani spendevano per libri e giornali il 14,67% del bilancio dedicato ai consumi non alimentari contro il 20,41% della Germania e il 19,11% della Francia. Oltre a questo, va tenuto presente che il progressivo disimpegno politico ha portato un allontanamento dall’interesse prettamente storica che ha causato una perdita di specificità nell’ambito storiografico, di conseguenza la comunicazione storiografica ha cercato altri canali di comunicazione. In questa realtà, accanto all’elemento sonoro si è affiancato quello iconico dei videoclip.

Si può, con questi dati, ignorare deliberatamente la funzione sociale della musica leggera o sottovalutarne il messaggio sociale? Numerosi testi, basti ricordare Primavera di Praga di Guccini (siamo nel 1968 all’indomani dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei sovietici), nella loro epoca fungevano da canzoni politiche e, dopo trent’anni, sono alla stregua di un documento storico. La canzone continua a raccontare la storia, non sempre in forma leggera: Insicuri e stravolti/ come reduci laceri e stanchi/ come inutili eroi/ già a vent’anni siam qui/ a raccontare ai nipoti che noi/ noi buttavamo tutto in aria/ e c’era un senso di vittoria (G.Gaber e S.Luporini, “I reduci”, 1977).


(09/04/2007)