DUE PARTITE: LA COMENCINI CONQUISTA IL PUBBLICO.
APPLAUSI E RISATE A SCENA APERTA

Margherita Buy, Marina Massironi, Isabella Ferrari, Valeria Milillo in scena al Teatro Valle con un testo e la regia di Cristina Comencini. Un’occasione per ripensare alle donne.
di Daniela Mazzoli
Quattro incredibili interpreti per un testo che vale la pena di essere riascoltato, riletto, riferito. Cristina Comencini scrive come una trentenne che ha ancora tutto da dire, che ha voglia di scrivere, di tradurre in parole e versi tutto il dolore e il non-senso del mondo.

La trama: quattro signore maritate con prole nell’Italia degli anni ’50 si riuniscono ogni giovedì per giocare a carte. Quelli sono gli unici soldi che possano considerare propri, come guadagnati, da spendere senza rimpianti e irresponsabilmente. Le loro figlie, intanto, in un’altra stanza giocano a fare le signore, ripentendo con innocenza gli schemi di una vita che non le riguarda. In un clima borghese vengono su dal fondo di un soffocante perbenismo problemi e perplessita’ di ognuna. Cosa significa essere donna? Quale il destino di chi ha vissuto per tutta la vita facendo da moglie e da madre ad altri che la abbandoneranno prima o poi? Come superare quel sentimento di solitudine che invade le loro serate di regine della casa?

Queste e altre le domande che si pongono, come in una discussione filosofica, nella prima parte dello spettacolo. Sperano e si dicono convinte che il futuro cambiera’, che sara’ migliore, che le loro figlie non avranno gli stessi destini. Per loro si prepara un avvenire di liberta’, di carriere da fare senza sacrifici, di modernita’. Eppure qualcosa non funziona, manda a monte ogni migliore proposito, ogni fiduciosa intenzione, ogni buon augurio. Qualcosa nel corpo delle donne sembra continui a renderle schiave di un destino da cui non si fugge. Il sentimento della maternita’, la possibilita’ di contenere un altro essere umano e di dare la vita, cambia profondamente la percezione della propria storia, del proprio significato nel mondo. Il confronto con la maternita’ subisce il peso delle circostanze sociali, della cultura dominante. Cambiano la societa’ e la cultura a distanza di trent’anni eppure il dramma resta irrisolto.

Il secondo atto si apre, infatti, con le quattro bambine cresciute che si ritrovano a casa di Giulia per il funerale della mamma, morta suicida in una notte come le altre, al fianco di un uomo che non si e’ accorto di nulla. Il dolore e’ cupo, nero, silenzioso. Tutta la vita ritorna ponendo antichi interrogativi, senza pace.

Si assiste al destino delle protagoniste con la commozione con cui si guarda allo specchio la prima ruga, il viso della propria madre, le persone che amiamo andar via. Ci si attacca alle parole delle donne in scena come ad un resoconto diaristico del proprio passato e di un destino temuto.
Tutte coraggiose, le attrici si prestano al proprio ruolo generosamente, portando sul palco anche un po’ della propria storia familiare, il dialetto delle proprie origini. Si rivelano nella seconda parte in una folgorante bellezza, con vestiti tutti uguali e una ‘maschera’ da coro greco.

Sebbene dia l’idea di essere una performance tutta al femminile risulta, invece, fortissima la presenza degli uomini: nei discorsi delle donne, nel loro silenzio, in una mancata e insostenibile gioia di vivere. Presenti come sempre nell’assenza, forti di una propria secolare cultura, determinanti persino in tempi come i nostri, in cui se ne ridiscutono ruoli e limiti.
Un vero manifesto la poesia di Rilke che chiude lo spettacolo. Da appendere sui muri di tutte le strade del mondo.



(10/04/2006)