SUPPLEMENTO AL DIZIONARIO ITALIANO. PARLARE A GESTI
BRUNO MUNARI

Si può conoscere una persona per quello che dice. Ma si può farlo anche per ciò che non dice. O meglio, per ciò che non dice a voce. Breve guida alla gestualità.

di Claudia Bruno
Persino la piccola particella di sodio dell’ormai noto spot, sa che per dire “nessuno”, lo si può fare anche ruotando lentamente la mano con il pollice e l’indice tesi e tra loro perpendicolari. Già, la voce non è il solo strumento che ci è stato dato per dire. Spesso, il più delle volte inconsapevolmente, subentra un linguaggio tutto fatto di segni. Che siano mimici o gestuali non importa. La cosa straordinaria è poter parlare in silenzio.

Supplemento al dizionario italiano, questo è. Un’appendice silenziosa che nessun dizionario ricorda di portare con sé. In particolare quello italiano, dato che i gesti contenuti all’interno appartengono o sono comunque radicati nella nostra cultura.

Già nel 1832 il Canonico Andrea de Jorio pubblicava presso la Stamperia e Cartiera del Fibreno di Napoli, un volume di 380 pagine e 19 illustrazioni. È da qui che Bruno Munari trae l’ispirazione. E, nel 1963, decide di sostituire le immagini con fotografie in bianco e nero, le tante parole con brevi didascalie tradotte in tre lingue. Inglese, francese e tedesco.

L’edizione oggi in commercio, pubblicata da Corraini, rispetta fedelmente quella del ’63 di Muggiani. Ma a quanto pare il contesto passato di cinquant’anni non costituisce un problema. I gesti sembrano durare più delle parole, ed è per questo che ci caratterizzano ancora all’estero, come garanzia di italianità. Non a caso la statunitense Chronicle Books ha deciso proprio lo scorso anno di pubblicare il testo di Munari intitolandolo Speak Italian. The Fine Art of the Gesture.

Nelle prime pagine alcuni disegni dei più antichi gesti napoletani, non possono far a meno di ricordare il teatro, la sceneggiata. Dopo, le fotografie ci parlano di uomini incastonati tra un passato molto prossimo e un presente non definito. Noi. Che chiediamo una sigaretta portando le due dita alle labbra. Che cerchiamo il silenzio con l’indice teso all’estremità della bocca. Che sosteniamo di non saperne nulla alzando i palmi delle mani. Che giuriamo parola d’onore con la mano sul petto. Noi, che infondo non ce ne importa niente e sfioriamo il mento con il dorso delle dita portandole avanti.

Ma ci sono anche cose che non diciamo più, in questo prolungamento non verbale della nostra parlata, o che ci capita di “sentire” solo da chi è nato in tempi remoti e locali, lontani dai vorticosi spazi aperti della globalizzazione. È soprattutto la gente più anziana del sud italiano, che ancora sbatte la mano aperta con le dita tese all’altezza dello stomaco, intendendo che ha fame. Che con il pollice traccia un segno sulla guancia per dire di una persona che “è un dritto”. Che accosta gli indici per indicare una tresca.

Nient’altro che coloriture, capaci di conferire ad una lingua sfumature e significati spesso difficilmente traducibili. Colori, che stiamo perdendo forse per il complesso di essere stati etichettati grossolanamente gesticolanti all’estero. Ma a chi guardasse con occhi increduli il nostro modo fortemente comunicativo e teatrale di farci capire, si dovrebbe rispondere senza troppe parole. Basterebbe un gesto. Magari quello suggerito dalla copertina.


(22/03/2006)