Ieri sera è andata in onda l’ennesima puntata di Very Victoria, il programma della Cabello che da un po’ di tempo ci tiene compagnia il mercoledì sera su Mtv. Una puntata diversa, quella registrata domenica scorsa a Sanremo, in piazza. Una piazza piena di gente, dove non solo i fiori sottolineavano che qualcosa è cambiato.
Per chi, difficile a dirsi. Fatto sta che lei, Victoria, salendo sul palco dell’Ariston ha amplificato i numeri dei suoi spettatori, e contemporaneamente l’Italia ha scoperto un nuovo personaggio televisivo. Adesso anche gli ultracinquantenni pigramente affezionati al prime-time di Rai Uno, sono contenti di vederla attraverso il piccolo schermo. Eppure Victoria non è nata ieri. Il pubblico più giovane lo sa. Ma a quanto pare la carriera di vj, le Iene, persino lo spot del Crodino non erano stati così decisivi per un salto verso il grande pubblico.
Ora, a distanza di qualche attimo dalla fine del Festival nazionale per antonomasia, la Viky di Mtv scende le scale scalza, dimostrando che si può fare rumore anche in punta di piedi e senza tacchi. Dopo le critiche, le polemiche, la faccia annoiatissima di Del Noce in prima fila, le ansie da audience. Dopo che Magalli l’ha definita snervante nel suo slang di traduttrice, quasi in competizione ostentata con l’interprete, tanto da far raggelare il sangue, lei si disegna così. Una donna dalle forme di cracker, che non ha paura di perdere la faccia. Lo confida a Panariello, ospite fisso per l’intera puntata trasmessa ieri sera.
Tra gli ospiti anche Dolcenera e Alex Britti, che non hanno potuto far a meno di prestarsi a ironiche reinterpretazioni dei loro pezzi sanremesi. Del resto Very Victoria è così, un programma demenziale ma non tanto da offendere l’intelligenza dello spettatore. Una demenza quasi sottile, a volte intellettuale, volutamente leggera, capace di adattarsi al peso che, chi sta dall’altra parte dello schermo dà alla tv. Non cultura, ma neanche intrattenimento.
Un nuovo genere, forse. Più diluito, meno impegnato a sopravvalutare la dose di spettacolo che da sempre la televisione conferisce a ciò che le passa dentro. Quasi un voler sottolineare, provocando, che niente è davvero importante da meritare scenografie grandiose, applausi teatrali, in poche parole attenzione. È in questo modo che il programma risulta guardabile. Come si ascolta la radio. Mentre si fa altro, si pensa altro. Uno dei rari casi in cui la televisione si riconosce nel rumore di fondo qual è diventata. E stranamente, per una sorta di omeopatia, riesce a farsi seguire più della televisione ormai diventata maniera.
L’ironia è di casa, ma già sconfina oltre i limiti nazionali. È un umorismo ormai distaccato dalle nostre vicende regionali, a tratti internazionale, per questo più freddo. I due valletti uomini svampiti, l’astuto regalo che ad ogni fine intervista viene donato all’interlocutore, i giochi sempre diversi ma insensatamente identici, e poi la sigla. Quella che ha acchiappato per il collo la maggior parte degli spettatori. La vera protagonista. Rara eccezione tra le sigle, degna di rappresentare i tempi correnti, e non revival di qualcosa che già è stato. Asettica, gelida, come la musica di sottofondo.
Insomma, momento di gloria o meno per la Cabello, qualcosa è cambiato. Forse un nuovo modo di fare televisione, forse la voglia di metterne in tavola i paradossi. Ma anche una diversa idea di donna, svincolata dai ruoli di cui i secoli l’hanno vestita, in grado di prendersi gioco degli schemi lasciando simpaticamente interdetto il senso comune.
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