A. imbraccia la sua chitarra e si mette a suonare. A lui piace farsela da sé, la musica. Non vuole accontentarsi di parole pensate da altri. Come masticare le emozioni di un altro. Come lavare piatti sporchi. A. e la sua musica. Inseparabili. Lui, senza la sua chitarra, non è niente. Come la sua chitarra, senza di lui, è solo un pezzo di legno. Lo ritrovo con il suo solito sguardo torvo, come l’ultima volta che l’ho visto. Da ragazzaccio. Estrae dei fogli, appena ingialliti. La carta stropicciata. Sporca di caffè. Con le parole delle sue canzoni. Lui pensa in note. A qualsiasi cosa pensi. Così iniziamo a parlare della musica.
• Azzurra: Cos’è per te, la musica?
• A.: Un buon libro prima di andare a letto. Una bella donna. Un bisogno.
• Azzurra: Il bisogno di cosa?
• A.: Il bisogno di esprimere ciò che sento.
• Azzurra: Non puoi semplicemente dirlo?
• A.: Sembra che dove le parole non possono arrivare- o non abbiamo il coraggio di spingerle così oltre- la musica possa spiegare ciò che hai nella testa.
• Azzurra: Cosa c’è nella tua testa?
• A.: Note. Note che si muovono e che danno forme alle emozioni.
• Azzurra: Hai ragione, non è facile da capire.
• A.: Non tutti possono. Oppure io non posso spiegarlo a tutti. Vedi tu come è più corretto.
• Azzurra: Dimmi tu cosa è più vero.
• A.: Di vero, nella musica, non c’è niente. La musica è solo un pensiero espresso in note.
• Azzurra: Un po’ tutta l’arte è così.
• A.: Sì. La musica ha questo di diverso: una scultura può essere metaforica ma ciò è scolpito è sotto gli occhi di tutti, può esserne frainteso il senso metaforico ma il senso letterale è comprensibile da tutti; lo stesso vale per la scrittura: un teso può avere diversi livelli di comprensione ma chi non capisca il livello base vorrebbe dire che non sa leggere affatto. Mentre la musica non ha un senso letterale percepibile da chiunque: sono note, non c’è niente da capire.
• Azzurra: Quindi, come si può comunicare con un linguaggio così personale?
• A.: La comunicazione è la grande beffa del nostro secolo. Non si fa arte per comunicare. La si fa per esorcizzare i nostri demoni.
• Azzurra: Perché allora non tieni la tua musica per te e me la fai ascoltare?
• A.: Perché credo ai gradi di comunicazione inconscia. Condividere le stesse ombre implica il non doversele spiegare a vicenda.
• Azzurra: Ma io non so fare musica, non posso essere come te.
• A.: Però scrivi, quindi, in qualche modo, tutto il mondo è paese.
• Azzurra: Mi stai dicendo che diamo nomi diversi alle medesime ossessioni?
• A.: Esatto.
• Azzurra: Com’è nata la tua passione per la musica?
• A.: Lo spazio nella testa non bastava più e così ho dovuto cercare un modo per far uscire i pensieri. La musica è stata la strada più facile, per me.
• Azzurra: E’ vero che non sempre la strada più breve tra due punti è una linea retta?
• A.: A questo puoi rispondere anche tu ma, sì, è vero. Ci sono punti- le persone- che se le prendi di petto si chiudono ma se le avvicini con un po’ di buona musica si lasciano rapire.
• Azzurra: Credi che il mercato della musica sia inaccessibile?
• A.: Credo che, come molte cose oggi, da una parte si cerchi di dare infinite possibilità fasulle e dall’altra di non far emergere mai nessuno. Come dire, tutti fanno tutto ma tutti lo fanno allo stesso livello mediocre.
• Azzurra: C’è spazio per un genio?
• A.: Non c’è mai stato spazio per il genio. E’ sempre stato il pazzo del villaggio. E, forse, in qualche modo era davvero così. Mozart era un genio ma era, incontestabilmente, un pazzo. Proprio in questa sua estrosità e dissolutezza dei costumi stava probabilmente la vena artistica che gli ha permesso di comporre Il concerto per pianoforte.
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• Azzurra: E tu vuoi fare successo?
• A.: Se mi stai chiedendo se voglio fare soldi…sì, come tutti. Se mi stai chiedendo cosa sarei disposto a fare per fare soldi…niente.
• Azzurra: Qual è il sogno nel cassetto?
• A.: Fare soldi senza fare compromessi.
• Azzurra: Essere te stesso.
• A.: Non mi piace l’idea di vendere la mia musica a persone che dentro ci vedono solo note.
• Azzurra: Cosa c’è dentro?
• A.: Ci sono io. Tutta la mia vita, lì.
• Azzurra: Non capire la tua musica è non capire l’uomo che sei?
• A.: No, è peggio. Perché l’uomo che sono potrebbe non piacere a tutti. Ma le emozioni, le sensazioni vere, per queste bisognerebbe avere ammirazione a prescindere dal compositore.
• Azzurra: Credi di essere un bravo musicista?
• A.: Sì.
• Azzurra: La tua convinzione è fondata su dati di fatto?
• A.: No.
• Azzurra: Quindi potresti non essere bravo?
• A.: Tecnicamente, potrei. Suono per bisogno, non per passione.
• Azzurra: In che senso?
• A.: Nel senso che ho bisogno di suonare per mettere a tacere i pensieri. E’ doloroso, come ammettere ogni volta i propri limiti.
• Azzurra: Cosa credi che vorrebbe leggere la gente in un intervista di musica?
• A.: La verità. Circolano fin troppe bugie.
• Azzurra: Sai che i critici sanno essere molto critici, a volte.
• A.: E’ un rischio che corro. D’altronde, se sanno suonare meglio di me perché non tolgono le vesti da critici e si mettono a fare musica?
Poi, basta parole. Solo musica. Note che si perdevano nell’aria e mettevano a tacere i dubbi. Perché, al di là delle etichette di arte ed artista, c’è chi suona, chi scrive e chi dipinge e dà forme diverse a paure che ci rendono tutti appartenenti allo stesso mondo: l’umanità.
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