Una tradizione islamica plurisecolare stabilisce che non si può disegnare Dio, né alcuna figura sacra, come il profeta Maometto. Qualsiasi loro rappresentazione è sacrilega. E’ questo il primo e semplice motivo per cui le dodici vignette sull’Islam, pubblicate dal quotidiano conservatore danese Jyllands-Posten, hanno disgustato il mondo musulmano.
Si vede il volto di Maometto sormontato da un turbante che culmina in una bomba; alcuni kamikaze giunti alle soglie del Paradiso che vengono fermati da un omologo del nostro San Pietro perché purtroppo sono terminate le vergini, alludendo al premio che spetterebbe agli attentatori suicidi. Di questo tenore sono anche le altre dieci vignette. L’associazione fra i simboli della religione musulmana e il terrorismo si ripete spesso. Oppure vengono messi in ridicolo altri aspetti della cultura musulmana.
Le vignette del quotidiano danese sono state riprese subito dal Magazinet in Norvegia, poi dal conservatore France Soir in Francia, il cui direttore è stato licenziato nel giro di poche ore dall’editore franco-egiziano. La polemica è esplosa e diversi altri giornali europei, compresi alcuni italiani, hanno ripubblicato le vignette, con visibilità e sensibilità diverse, e hanno iniziato a interrogarsi. Partiti, governi, giornalisti e vignettisti hanno opinioni contrastanti, confuse, fino a creare a volte convergenze paradossali.
Il mondo musulmano ha reagito con durezza, in certi casi in modo furioso. Manifestazioni in Indonesia, Iran, Siria, a Gaza: ovunque. Di quelle care all’iconografia sensazionalista: estremisti col volto coperto e il mitra in mano. Vengono bruciate le bandiere danesi e norvegesi in piazza. Ha inizio una surreale guerra del burro: si boicottano prodotti danesi e norvegesi, il salmone diventa nemico della fede. I fanatici urlano, incitati dagli anatemi degli ayatollah che minacciano l’Occidente e sentenziano che è così che si alimenta il terrorismo. In Siria vengono date alle fiamme le ambasciate di Danimarca e Norvegia. A Beirut la folla attacca il quartiere cristiano.
Intanto trapela un particolare poco noto all’opinione pubblica: la prima pubblicazione di queste vignette da parte di Jyllands-Posten è avvenuta il 30 settembre scorso. Più di quattro mesi fa e nessuno si era accorto di nulla. Allora c’è chi, come Gad Lerner, sostiene che il furore delle masse è strumentalizzato, viene pilotato nei tempi e nei modi dalle alte sfere musulmane integraliste che trovano un magnifico combustibile in queste vignette per alimentare il fuoco dello scontro di civiltà a tutti i costi. Queste vignette hanno sicuramente offeso il sentimento religioso musulmano, ma c’è una regia che ne guida l’emersione e i percorsi.
Tant’è che, a vedere quali paesi musulmani si siano rivoltati nel modo più eclatante, si trovano quelli che hanno maggiori interessi nello scontro fra civiltà: Iran, Libano, Siria, non Marocco, Giordania, Tunisia. Fatti che lasciano qualche dubbio sull’assoluta spontaneità del sentimento religioso indignato che sembrerebbe guidare i manifestanti. Ma resta vero che queste vignette offendono la tradizione culturale islamica: con l’insistenza sul gemellaggio fra religione e terrorismo, con il loro tratto scorbutico al limite del razzismo, con la loro semplice esistenza. E’ probabile che il caso internazionale si stia gonfiando ad arte, ma qualsiasi musulmano messo di fronte a questi disegni si sentirebbe offeso.
Quanta parte si può comprendere della reazione musulmana, che pure sicuramente eccede in diversi aspetti? Dipende da quanto siamo disposti a interrogarci in Occidente. I termini in cui da molte parti si è impostata la questione sono quelli della libertà di stampa e di satira. Ci si è chiesti quanto sia giusto accettare la censura o l’autocensura. Siamo tornati, ancora una volta, a farci domande intorno ai confini della libertà di stampa, a quale sia la natura della satira. Siamo abituati a queste domande perché ce le poniamo intorno a questioni politiche, o in rapporto alla tv del dolore. In Italia sono quesiti che ricorrono fin troppo spesso.
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Ma questa volta il centro della questione sembra un altro: è il rapporto fra culture differenti il vero tema. E’ questo che deve prendere il sopravvento. Allora, prima domanda: era giusto pubblicare le vignette? E poi a cascata seguono le altre: ha fatto bene chi le ha ripubblicate? Il governo danese e gli altri interessati dovrebbero scusarsi? Quale può essere il raggio d’espressione dei giornalisti occidentali? E infine quali sono i limiti tollerabili della reazione musulmana? Ma non avremo risposte complete se manteniamo il dibattito nei termini tutti occidentali della libertà di stampa.
Non possiamo rispondere all’indignazione musulmana con la libertà di stampa: sarebbe un dialogo fra sordi. Non potremmo neanche accusarli, qui e ora, di scarso senso dell’umorismo o di permalosità rispetto alla satira: sarebbe arrogante giudicare con questa rapidità e coi nostri parametri una cultura millenaria tanto differente dalla nostra. Non ci resta che chiederci veramente che cosa possano significare questi disegni per loro, cogliere una sensibilità così diversa dalla nostra, che forse non vorremo accettare, ma dovremo almeno conoscere. Il grado di chiusura di certa parte del mondo musulmano non può essere una scusa per disinteressarsi della loro visione. Anzi la nostra forza consiste proprio in questo: nel cercare di capire e di dialogare, come unica strada per la convivenza.
Certo, la libertà di stampa e di opinione deve essere tutelata a ogni costo. Non si può lasciare che la minaccia del fanatismo limiti la circolazione del nostro pensiero. Ma in questa vicenda non è in gioco solo questo. Queste vignette hanno un gusto provocatorio che eccede di molto la possibile intelligenza della loro critica. Libertà di stampa non vuol dire stampare in libertà qualsiasi cosa passi per la testa. La caratura del contenuto, la sua intelligenza, il rispetto dovuto a ciò di cui si parla dovrebbe essere una base ineliminabile. A maggior ragione in un periodo storico delicato e su una materia come questa. E le vignette del contendere, sotto questi aspetti, sono decisamente infelici.
Naturalmente ora c’è la possibilità che l’Islam più fanatico radicalizzi lo scontro. Sta già succedendo. Allora fatalmente anche noi corriamo il rischio di arroccarci sempre di più. Lo scontro non va sfuggito mai per paura, ma qualsiasi conflitto distruttivo e scongiurabile andrebbe evitato. E invece in Occidente, anche a casa nostra, molti si sono già inseriti nella logica della contrapposizione frontale e sorda. Se riuscissimo a trasformarlo in un confronto con la parte sana, tollerante – e troppo spesso silente – del mondo islamico, questa potrebbe addirittura diventare un’occasione di crescita.
Sarà difficile, ma almeno corre il dovere di usare la testa e uno sguardo aperto, per cavalcare una vicenda con pochi precedenti (Rushdie, Theo Van Gogh. Ma quanto sono assimilabili?) e dai significati incerti. E’ già difficile dirimere questioni relative alla libertà di stampa o di satira o sui rapporti interculturali quando si presentano in modo semplice, entro confini tradizionali e leggibili. Ma in questo caso le problematiche si sommano e si mescolano. L’unilateralismo è impossibile e chi lo ha scelto lo ha fatto solo in nome dell’appartenenza ideologica. E’ uno di quei casi in cui non ha ancora alcun senso attivare i muscoli finché non avremo chiarezza nella testa.
E pensare che sono solo dodici piccoli disegni. Proprio questo fa spavento.
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