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ALLA SCOPERTA DI UN ALTRO PASOLINI. RACCONTI DA CASARSA
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Dopo tanto rumore dei media, il tema "Pasolini" si ripresenta, ma con un accento mutato, più delicato e intimo.
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di Ugo Perugini
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Forse è meglio così. Meglio parlarne ora, di Pasolini. Adesso che si è ormai spenta l’eco delle rievocazioni, ufficiali e no, sulla sua figura, a trent’anni dalla tragica morte. Ora che giornali, riviste, tv hanno smesso di dedicargli servizi, speciali, inchieste, con il gusto, più o meno compiaciuto, di tornare su certi particolari scabrosi, ma spettacolari, che riguardano soprattutto le sue ultime ore di vita e che soddisfano sempre un certo gusto voyeurista.
Oppure con il malcelato piacere di ipotizzare complesse congiure sui mandanti e gli esecutori del suo delitto, alla ricerca di una verità, purtroppo sempre più lontana, sulla spinta di fantasiose derive dietrologiche.
Noi, al contrario, vorremmo ricordare Pasolini all’epoca della sua attività di giovane studente universitario sfollato durante la guerra a Casarsa, nel Friuli, un luogo che egli amò tantissimo. Le sue parole ce lo confermano: “… riconoscevo gli odori serali del fumo, della polenta e del freddo luminoso”. E la sua esperienza di maestro, tra i giovani contadini, oppressi dalla povertà ma non privi di autenticità, a cui insegnava con passione ed entusiasmo il piacere della poesia, riscoperta attraverso l’uso consapevole del dialetto (il friulano occidentale). Ai quali sapeva instillare il gusto di impegnarsi, di migliorarsi, senza perdere la propria natura, allo scopo di ottenere una rivincita sociale e culturale cui potevano legittimamente aspirare.
Un manager-poeta: Antonio Spagnol
Tonuti (Tonino) Spagnol è uno di quei ragazzi. Ora ha 75 anni. Una bella famiglia e, senza dubbio, ha ottenuto il riscatto sociale che cercava e non ha paura a darne tutto il merito a Pier Paolo Pasolini. E’ un ex dirigente, ormai in pensione. Nella sua vita, ha avuto grandi soddisfazioni nell’ambito lavorativo, sia morali che finanziarie. Ora che da qualche tempo ha lasciato la sua attività primaria ed è tornato a dedicarsi, con l’umiltà di allora, alla poesia, sempre con risultati eccellenti.
D’altra parte, Pasolini lo riteneva uno dei suoi allievi più validi. Tonuti non ha dimenticato il suo maestro e si dispiace sinceramente quando di lui certuni evidenziano solo aspetti che riguardano la sua omosessualità e la sua ideologia. “Chi torna nelle zone del Friuli in cui Pier Paolo è vissuto negli ultimi anni Quaranta e dove ora è sepolto, si rende conto che le persone che lo hanno conosciuto lo ricordano tutte, senza eccezione, con affetto e incondizionata stima. Lo considerano come qualcuno di casa, che li ha amati, li ha aiutati a ritrovare la propria dignità, attraverso la riscoperta della cultura della loro terra, quella vera, legata alle radici vive della loro lingua.” dice Spagnol.
Tonuti è capace di lasciarsi andare a ricordi a ruota libera sul poeta che ha avuto la fortuna di avere per maestro. Sono ricordi semplici, teneri: “Pasolini in quegli anni (dal 1943) era molto triste. Viveva con la madre presso una povera famiglia di contadini di Versuta. Il padre era prigioniero in Africa e il fratello Guidalberto, che combatteva tra le file dei partigiani, di lì a poco fu ucciso in una tragica imboscata.
Sconvolto dal dolore, Pier Paolo cercò una sua ragione di vita nell’insegnamento ai giovani che, a causa della guerra, non potevano più frequentare le scuole. Rendendosi conto della forza espressiva della lingua dialettale, spinge i giovani a esprimere i propri sentimenti e stati d’animo attraverso di essa. Pasolini raccoglie questi lavori e decide di pubblicarli a proprie spese. Si forma, quindi, un cenacolo letterario che il 18 febbraio 1945 diventerà l’”Academiuta di lenga friulana” (la piccola Accademia di lingua friulana).
Pasolini da filologo ad autonomista, da regista ante-litteram ad esperto d’arte
Recuperiamo le parole stesse del poeta quando descrivendo questa lingua ne sottolinea “una vivezza, una nudità e una cristianità che possono riscattarla dalla sua sconfortante preistoria poetica”. Questa parlata per lui è come l’ardilut, l’umile cespo di dolcetta, pianta simile alla valeriana, che può brillare con una semplice goccia d’acqua.
Attraverso la piccola Accademia, Pasolini vuole tornare alle origini della lingua, recuperare la parola come strumento in grado di rivitalizzare un patrimonio di valori morali e di limpida innocenza. Per uno scopo forse troppo ambizioso e velleitario ma perseguito con convinzione, almeno fino a che non se ne partì, pieno di amarezza, per Roma.
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Sentiamolo dalle sue stesse parole: “Il fatto di appartenere a una patria è natura, è sentimento, ma acquisterà validità solo nel caso si muti in coscienza, cioè si volga al futuro, valorizzando il passato solo come esperienza”.
Un Pasolini che crede nell’autonomia del Friuli, per quel sentimento atavico di sentirsi friulano “per avere in sospetto Venezia non meno di Roma”. Questo, forse, è un Pasolini ancora più scomodo. Che vuole che i Friulani acquistino una loro coscienza storica, che – è ancora lui a parlare - “deve essere individuale e gelosa dei propri usi e costumi”.
In questo, il Poeta si rifà nientemeno che a Carlo Cattaneo. Riporta, infatti, in apertura de “Il stroligut” - la rivista che raccoglie le prove dell’Academiuta – questa frase emblematica del politico lombardo: “... rimosso tutto ciò che vi è di uniforme, cioè di straniero e fittizio, i fiochi dialetti si ravvivano in lingue assolute e indipendenti, quali furono nelle native condizioni del genere umano”.
Ma la ricerca di Pasolini non fu limitata al recupero della lingua friulana, figlia diretta del latino. L’Academiuta rivolta al popolo, aveva l’ambizione di diventare un crogiolo di stimoli artistici. Furono creati spettacoli teatrali, recitati dagli stessi ragazzi: la prima di queste opere si intitolò “I fanciulli e gli elfi” ed ebbe luogo il 15 luglio del 1945, naturalmente regista fu lo stesso poeta.
Qui si studiava anche musica e pittura e ci si impegnava a recuperare il patrimonio artistico ancora sconosciuto della zona. Basti ricordare che nella chiesetta antica di Versuta fu proprio Pier Paolo a scoprire sotto la crosta magnifici affreschi, opera probabilmente dei discepoli di Giotto, ora restaurati.
Pasolini, giovane tormentato ma autentico
Ma a Tonuti, dopo un po’ che parliamo, ritorna in mente il Pasolini uomo. Non il poeta, non l’artista. Il giovane, sensibile e schietto che amava ballare nelle feste paesane con le ragazze più belle. Che giocava a calcio nei campi, che passava le serate a parlare guardando le stelle. “E non si vergognava, alla fine di quelle lunghe nottate, di giocare dalla spalletta del fiume a chi piscia più lontano.” Ancora altri ricordi di Tonuti: “Una volta Pier Paolo volle andare in città con il biroccio.
Mio padre non si fidava di lui e gli chiese che mi lasciasse guidare i cavalli. Il poeta, appena allontanatici dalla casa, volle prendere le redini in mano e condurre lui stesso il calesse. Era raggiante come un bambino. Si divertiva con poco. Poi, quando si arrivò in città, lui stesso andò a comprare un po’ di biada per rifocillare i cavalli…”.
C’è un eros iniziale in Pasolini – come dice il poeta Zanzotto in un suo intervento – che è poi, vita, amore per ciò che ha intorno. Un eros innocente, elegante, bello, puro che diventa in qualche caso devozione religiosa verso la natura. Ben presente anche nel famoso reportage televisivo “Comizi d’amore”. Ma che ha anche la possibilità di trasformarsi in visione tragica, dolorosa. Lo si nota in una poesia – che riportiamo sotto – di quegli anni, mai pubblicata, ritrovata da Tonuti tra le sue vecchie carte in una copia a ricalco di macchina per scrivere.
Il rapporto di Pasolini con il sesso è complesso fin da allora. Tonuti sostiene che Pier Paolo “non concepisce il rapporto tra donna e uomo se non nella finalità procreativa”. (La polemica del suo famoso intervento contro l’iniziativa della legalizzazione dell’aborto ha queste radici.) “Nell’amplesso non sopporta l’oscenità del gesto quando degrada e brutalizza il miracolo della nascita”.
Qualcuno ha parlato di Pasolini “antimoderno”. Certamente lui credeva nel progresso, anzi sosteneva che “la cultura è matrice di progresso” ma non credeva affatto nello sviluppo. E in tutto quello che esso comporta, a cominciare dal nascente consumismo. E, per di più, odiava la furbizia e l’ipocrisia, ritenendo di avere scoperto “quanto siano migliori i giovani del popolo rispetto a quelli della borghesia; una superiorità sostanziale e assoluta che non ammette riserve.” Per questo motivo, “lui stava con i deboli per la libertà, nell’incessante ricerca della giustizia e della verità e in difesa della democrazia.
Ma non accettava la lotta violenta. Era un mite e voleva trasferire la forza delle sue idee con quella sua sola ‘voce puerile’, indifesa, dolce, tenera…”. Pasolini lo scriverà a Tonuti, qualche anno più tardi, quando si trova a Roma, descrivendo la sua vita come “violentissima” e rimpiangendo “il verde dei campi e l’agrezza dell’aria friulana”. Egli, infatti, arriverà a confessargli: “Se non si è duri, ostinati, disposti a lottare, non si riesce a sopravvivere”.
Tonuti, ricordando la sua giovinezza con il maestro, dice ancora: “bastava essere con lui per sentire quanto eri ignorante; aveva una grande capacità di imprimere la sua cultura; ti insegnava a scrivere le poesie sulla lavagna.” E Tonuti assimila in modo pronto e naturale il gusto poetico. E lo stesso Pasolini lo conferma: “Nell’ingenuità di Tonuti non c’è nessun primitivismo, ma molta bontà, dedizione, dolcezza d’animo.” Ci piace chiudere questa semplice rievocazione con una poesia di Spagnol, intitolata “Matina”, dell’aprile 1948, che vinse il premio dell’Academiuta e che Pasolini pubblicò poi ne “La fiera letteraria” (giugno 1954). “Dolsa matina di primavera/che ‘nenfra li fras’cis ti nas zentila/cu’l lizeir svuàl di una sisila/dismota dal susùr di na prejera. /L’unvièr al è passàt par nencia vera/e la luna clara tal miès da la fila/dai unàrs sidina apena a brila/ e a par na pluma sempri pì lizera./ I jot rifleti ta l’aria stamatina/la me ombrena e a giolt e a par plena/ di zovin amòur ch’al art sensa paura:/un fantàt al sea ta na s’giavina/e a par ch’al pensi – e sempri pì al s’invena - /che sensa amòur la vita a è pì dura.” . Davvero, senza amore la vita è molto più dura!
(“Dolce mattina di primavera/che tra le fronde nasci gentile/ col leggero volo di una rondine/ destata dal sussurro di una preghiera./L’inverno è passato non par neanche vero,/e la luna chiara in mezzo alla fila/degli ontani brilla appena silenziosa/e sembra una piuma sempre più leggera./Vedo riflessa nell’aria stamattina/ la mia ombra e gode e sembra piena/ di giovane amore che arde senza paura./un ragazzo falcia in una proda/ e sembra che pensi (e sempre più si infervora)/che senza amore la vita è più dura.)
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(14/12/2005)
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