NON BASTA UN COLPO DI LANCET PER ESTINGUERCI. CRONACA DI UN INGANNO
Lo studio svizzero sull’Omeopatia che tanto ha fatto discutere presenta, in effetti, lacune, imprecisioni ed errori. L’autore lo analizza puntigliosamente evidenziandone le incongruenze e sottolineando come non basti l’autorevolezza di una rivista a “distruggere” una metodologia medica come l’Omeopatia. Non basta un colpo di lancet per estinguerci...

Tratto da NATURA&BENESSERE n. 18

di Roberto Pulcri
The Lancet è la prestigiosa rivista medica anglosassone che diffonde autorevoli articoli sulla ricerca e, per questo, è considerata da tutti gli addetti ai lavori una sorta di “bibbia”.

La punta tagliente di questa “lancetta” recentemente ha pubblicato un lavoro sulla ricerca in Omeopatia che ci lascia interdetti per le sue conclusioni di estrema durezza. L’articolo in questione sembra “ben confezionato” per estirpare l’Omeopatia e quanto ruota intorno ad essa: i medici che la praticano (in Italia circa diecimila), gli utenti che ne usufruiscono (sono circa dieci milioni gli italiani che se ne avvalgono) e le aziende farmaceutiche che producono i medicinali omeopatici (30 laboratori riconosciuti, 210 milioni circa di euro il fatturato).

The Lancet ha suscitato molto scalpore, tant’è che l’articolo, che ha sentenziato “inequivocabilmente” l’inefficacia dell’Omeopatia, è stato ripreso alla fine di agosto dalla stampa internazionale e da tutti i quotidiani nazionali che, in taluni casi, hanno posizionato la notizia sulle prime pagine.

Certo, il significato del nome di questa autorevole rivista può anche passare inosservato e apparire banale, ma in questa occasione ha sollecitato il mio personale interesse e, dopo “una rigorosa web ricerca” sul suo significato, ho potuto riscontrare che il fondatore della testata, sir Thomas Wakely, nel 1823 scelse il nome lancet perché questo termine poteva identificare sia una finestra ad arco gotico aperta alla luce (della conoscenza) sia una piccola lancetta ben affilata (un bisturi) per incidere e così eliminare le scorie o le tossine. Pensandoci bene anche i titoli delle riviste hanno una loro nemesi: è forse per questo che l’Omeopatia è stata paragonata più ad una scoria da eliminare che ad un raggio di luce?

Tutt’altra storia, invece, il nome della rivista che ci ospita: Natura & Benessere…
In risposta all’articolo di The Lancet sono ovviamente comparse sui quotidiani diverse opinioni, alcune in verità un po’ kitch (personaggi del mondo mediatico, attricette ecc.) ma alcune molto argute ed altrettanto taglienti tra cui la più significativa è stata quella di Giulia Maria Crespi, presidente del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano). Su La Repubblica del 19 settembre di quest’anno, la signora Crespi ha portato la sua testimonianza, molto esemplificativa, dichiarando con fermezza come l’Omeopatia l’abbia aiutata a sconfiggere malattie grandi e piccole, aggiungendo senza ironia «come si può credere all’autorevolezza di una rivista scientifica che si è scoperto essere finanziata da una multinazionale delle armi?».


Devo dire che mi sarebbe piaciuto molto veder pubblicate anche interviste ad uno dei tanti anonimi pazienti omeopatici come, ad esempio, la signora Rosina che, prima di essere visitata, mi ha testimoniato con enfasi tutta romana la sua educata ma veemente disapprovazione sui contenuti dell’articolo in questione.

Dopo aver prescritto per più di venticinque anni “acqua fresca” ai miei ignari pazienti, è ovvio che mi sia sentito parte in causa; pertanto ho deciso di provare a sintetizzare il contenuto dell’articolo comparso su The Lancet, citando fonti attendibili e verificabili.

L’autore dell’articolo “Are the clinical effects of Homeopathy placebo effects?” è Matthias Egger e coll., ricercatore svizzero dell’Università di Berna che ha preso in esame 110 studi clinici nei quali ha confrontato l’efficacia dei medicinali omeopatici versus placebo ed altrettanti effettuati con farmaci allopatici versus placebo sempre per confrontarne l’efficacia.

Le patologie prese in esame riguardavano alcune malattie respiratorie, allergiche, ginecologiche, gastroenteriche, neurologiche oltre a malattie di pertinenza chirurgica. Obiettivo del lavoro doveva essere quello di mettere a confronto le diverse ricerche effettuate nel campo dell’Omeopatia e valutarle criticamente, ovvero effettuare una “metanalisi”, prassi ormai consolidata ed abituale della ricerca medica scientifica. I risultati del lavoro hanno stabilito che gli effetti clinici dell’Omeopatia sono paragonabili a quelli placebo.

Il professor Paolo Bellavite, docente di Patologia generale del Dipartimento di Scienze Morfologiche dell’Università di Verona, si occupa da molti anni della verifica scientifica dell’Omeopatia con spirito critico e senza pregiudizi come si conviene ad un vero ricercatore. Questa premessa è fondamentale in quanto noi medici clinici non abbiamo gli “strumenti” e le nostre verifiche sono rappresentate unicamente dai successi o dagli insuccessi terapeutici.

Bellavite oltre ad essere un medico si occupa anche di ricerca, pertanto ritengo utile riportare sinteticamente alcuni suoi commenti al lavoro di Egger per dare voce a chi conosce e usa il linguaggio della ricerca. Per prima cosa Bellavite ci informa che gli autori dello studio partono dalla convinzione che gli effetti specifici dell’Omeopatia siano “implausibili” e che i risultati positivi finora riportati negli studi clinici siano frutto di “bias” (errori metodologici o cattiva interpretazione dei dati) nella sperimentazione o nella pubblicazione. Gli autori hanno raccolto 110 studi clinici omeopatici e, per fare un confronto con la medicina allopatica, hanno estratto a caso altrettanti studi clinici convenzionali sulle stesse patologie. Tutti gli studi in esame erano randomizzati e controllati con placebo. Dai dati raccolti si evince un notevole interesse ma le conclusioni sono criticabili.


- Nei due gruppi (omeopatia e allopatia) si riscontra una maggiore efficacia dei medicinali rispetto al placebo.
- Rispetto alla qualità metodologica, tra i 110 esaminati solo 21 lavori omeopatici e 9 allopatici sono stati considerati di alta qualità.
- In entrambi i gruppi, i lavori più piccoli e quelli di minore qualità riportavano effetti con maggiori benefici rispetto a quelli di maggiore qualità.
- Tra gli studi di maggiore qualità dell’Omeopatia (8 studi), quelli con numero maggiore di pazienti mostravano un indice statistico di efficacia (odd ratio) con tendenza al miglioramento, ma non statisticamente significativa.

L’interpretazione degli autori svizzeri riportata nell’abstract e ribadita nelle conclusioni spiega che nei 2 gruppi (omeopatia-allopatia) sono stati accertati errori metodologici o cattiva interpretazione dei dati (bias), ma mentre l’evidenza è forte per gli effetti dei medicamenti allopatici, questa risulta essere debole per i medicamenti omeopatici.
In conclusione questo risultato è compatibile con l’idea che gli effetti clinici dell’Omeopatia siano effetti placebo.

Dall’analisi emergono alcuni punti di rilievo.

Già in precedenti lavori pubblicati su molte riviste scientifiche, compreso The Lancet, i dati riportati sull’efficacia dei medicinali omeopatici avevano sempre evidenziato la prevalenza di risultati positivi, mentre le conclusioni dei ricercatori svizzeri sono in contraddizione con quelle cui erano giunti precedenti lavori che avevano escluso finora un effetto placebo quale unica spiegazione dell’Omeopatia.

È molto ambiguo aver accreditato maggiore impatto scientifico a lavori di qualità sebbene questi rappresentino un numero esiguo del totale (21 su 110 per l’Omeopatia). Ciò tende a screditare in blocco i dati della stragrande maggioranza degli studi positivi (80% degli omeopatici, 90% degli allopatici). In effetti, anche se gli studi fossero di minore qualità metodologica ciò non vuol dire che i risultati siano falsi, probabilmente significa solo che questi erano meno affidabili rispetto ad altri, secondo i criteri di qualità stabiliti a priori. Sul piano dell’utilizzo dei dati raccolti dagli autori, l’aspetto più allarmante è costituito dalla valutazione di solo 8 studi omeopatici e di 6 allopatici secondo un criterio di quantità (studi con maggior numero di casi tra quelli del gruppo di alta qualità); così, confrontando esclusivamente questi pochissimi studi, gli autori hanno sentenziato l’inefficacia dell’Omeopatia.

Stralciando ulteriormente le osservazioni ben articolate del professor Bellavite si possono trarre ulteriori brevi considerazioni, peraltro ribadite da molti anni dalla comunità scientifica degli omeopati.


I parametri utilizzati per condurre una seria ricerca in Omeopatia devono necessariamente tenere conto del diverso approccio al malato e alla malattia che vincola in modo originale il metodo omeopatico: è dunque improprio utilizzare gli stessi criteri di efficacia utilizzati in allopatia.

La Medicina Omeopatica considera complessivamente l’individualità del malato comprendendo sia l’oggettività apprezzata nei dati clinici che, soprattutto, la soggettività riferita al singolo individuo. Un altro valore aggiunto da esaminarsi nei protocolli di studio omeopatici è da ricercare nella valutazione degli effetti collaterali ed avversi, oltre al non meno importante parametro che riguarda i costi e sul quale nessuno può negare la differenza a favore dell’Omeopatia.

I ricercatori svizzeri non hanno minimamente tenuto conto di tutto questo.

Per quanto riguarda, poi, il valore del confronto con il cosiddetto farmaco inerte o placebo, in letteratura medica è in corso un ampio dibattito sulle reali capacità di questa metodologia di ricerca applicata all’Omeopatia in quanto gli effetti placebo non sono legati ad una reale azione del farmaco inerte trattandosi di risposte aspecifiche che indicano un miglioramento dello stato generale, là dove il rapporto medico paziente può in qualche modo amplificare la risposta terapeutica in senso positivo.

Certamente la ricerca clinica in Omeopatia è ancora carente. Ciò è giustificato dalla esiguità del mercato farmaceutico omeopatico che rappresenta appena la centesima parte di quello allopatico, dalle inadeguate risorse economiche degli sponsor farmaceutici, dalla scarsa penetrazione nelle strutture ospedaliere, dalla mancanza di interesse a istituire percorsi didattici formativi da parte delle università ma soprattutto dall’assenza di una legge che stabilisca i criteri di formazione per i medici e che stabilisca le norme di fabbricazione dei medicinali omeopatici, recependo le Direttive già sancite dal Parlamento europeo.

Eppure potrebbe finalmente giungere qualche buona notizia. Infatti, esiste la possibilità che alla fine di questa storia possa intravedersi un risultato a sorpresa.
È curioso, o piuttosto emblematico, riscontrare inoltre che, sullo stesso numero del The Lancet, in cui è pubblicato il lavoro svizzero che condanna l’Omeopatia ad un misero effetto placebo sia riportato un editoriale dal tono molto polemico titolato “The end of Homeopathy” in cui l’autore si mostra molto preoccupato in merito ad un rapporto preliminare e ben documentato sull’Omeopatia che l’OMS pubblicherà a breve e di cui evidentemente già si conoscono le conclusioni che sembrano senza dubbio in favore di una sua efficacia clinica reale.

Questa contemporanea pubblicazione di due articoli in tema su uno stesso numero di The Lancet è solo una sfortunata coincidenza? Il dubbio nasce inevitabile…
A questo punto il vero errore di metodo o bias risiede proprio nel pregiudizio che traspare dagli autori svizzeri nel giudicare l’Omeopatia “acqua fresca”. In conclusione, la debolezza dello studio svizzero consiste in gravi omissioni da parte degli autori, come la mancata valutazione statistica dei precedenti lavori di ricerca omeopatica e la scelta parziale dei criteri qualitativi, oltre ad un errore di metodo nell’effettuare la metanalisi di solito eseguita su gruppi più numerosi ed omogenei per la scelta delle patologie e del medicinale impiegato.

La presa di posizione che scaturisce dall’analisi svizzera appare come una sentenza in un campo nel quale da anni si discute e che non ha ancora raggiunto conclusioni definitive. Ricordiamo, in ultimo, che il gruppo di ricercatori svizzeri non comprendeva nessun esperto in Omeopatia.
La cronaca di questo inganno ci riporta a considerazioni di ordine politico ed economico che non vorremmo tirare in ballo: si avverte un clima da caccia alle streghe cui non avremmo mai più voluto assistere.


(05/12/2005)