TRANCE DANCE: ALLA RICERCA DEL SACRO
La Danza è fondamentale oggi, come ieri. Eplorandola nella sua vera essenza si possono percorrere mondi e raggiungere l'intimo di sé stessi.
di Giancarlo Tarozzi
La danza, insieme alla musica, é una delle espressioni più antiche della ricerca del Sacro. Entrambe sono espressioni dinamiche, legate al fluire, a differenza di altre manifestazioni artistiche e culturali più statiche.
Nella musica, nel ritmo, é implicito il concetto di tempo e spazio: ritmico é anche il battere delle lancette dell’orologio, utilizzato proprio nel tentativo di rendere oggettiva la nostra percezione soggettiva del tempo stesso.

Le prime forme di espressione musicale hanno imitato e riprodotto i ritmi naturali: il battito cardiaco, il tamburellare della pioggia, il crepitare del fuoco…
In parallelo si é sviluppato il concetto di Trance Dance, utilizzata fin dai primordi per entrare in una condizione alterata di coscienza (anche se, data la lucidità percettiva che si raggiunge in quei momenti, sarebbe probabilmente più corretto definirla “condizione reale di coscienza”, e chiamare “alterata” quella di sonno semincosciente nella quale passiamo la maggior parte del nostro tempo).

Trance Dance non significa ballare utilizzando una tecnica di movimento, non significa sforzarsi di essere belli, seducenti, non é la danza di corteggiamento dei mammiferi che abbiamo appreso nel passato della nostra evoluzione e che é rimasta nel nostro codice genetico; non é quella del cervo, del pavone o del gorilla che cerca di conquistare l’individuo di sesso opposto… é fluire con la musica, lasciare che il corpo si muova da solo ritrovando i propri ritmi interiori. Dal momento che per la mente razionale, l’emisfero sinistro del cervello é solo d’impiccio e di ostacolo per questo tipo di danza in quanto tenta di controllare e schematizzare, ne consegue che fluire nel movimento consente di entrare in uno stato profondo di meditazione, di contatto intimo con il Sé, con il proprio animale di potere, con Pachamama…

E’ una danza che, specialmente le prime volte, si fa stando bendati, per ridurre al minimo le distrazioni mentali, la preoccupazione di muoversi in modo “giusto”, “adeguato”. Paradossalmente, le persone che incontrano più difficoltà nella Trance Dance sono infatti coloro che hanno studiato a fondo la danza professionistica, spesso così “impostati” nei movimenti da incontrare una grande difficoltà nel lasciarsi andare al fluire spontaneo dell’energia vitale.

La Trance Dance permette una riconnessione profonda dei tre piani dell’individuo con quelli della realtà: il corpo si armonizza e fluisce nella sua dimensione fisica, la mente si quieta e rallenta i suoi ritmi verso i livelli caratteristici del sonno e della meditazione profonda, lo spirito “vola” e vive pienamente il momento presente.

Nella sua manifestazione tradizionale, la Trance Dance é presente nella stessa forma in tutte le principali culture dell’antichità, e viene tuttora praticata da quelle popolazioni che hanno mantenuto un contatto più stretto con le proprie radici.
Solo in tempi più recenti é stata modificata per assumere le caratteristiche specifiche delle varie civilizzazioni. Tutte le forme a cui ho assistito – dagli Hopi nordamericani ai Qechua peruviani, dai balinesi ai Toraja, dagli indiani ai singalesi, dai kenioti ai dervisci sufi, dai tarantolati alle danze tradizionali sarde – presentano molti elementi comuni, che riconfermano l’esistenza di una matrice comune nell’antichità.

Un’altra manifestazione di Trance Dance giunta ai nostri giorni é la Kundalini, legata alla cultura indiana: in essa una serie di movimenti ritmati e frenetici, guidati da una musica realizzata appositamente, aiuta chi la pratica a sbloccare l’energia bloccata nel primo chakra. L’energia della Kundalini viene infatti descritta in India come un serpente arrotolato alla base del coccige, che una volta liberato percorre liberamente l’asse costituito dai chakra fondamentali, disposti lungo la spina dorsale, fino ad arrivare al settimo chakra ed alla riconnessione profonda tra energia tellurica ed energia cosmica, Padre Cielo e Madre Terra, Pachamama e Tata Inti…


Ritroviamo concetti simili anche in un ambito più vicino a noi, quello delle origini gnostiche del cristianesimo: negli Atti di Giovanni, uno dei vangeli apocrifi legati proprio allo gnosticismo, l’apostolo racconta che nella notte del Getsemani Gesù, prevedendo l’arresto “ci comandò di fare come un giro, tenendoci l’un l’altro le mani; quindi lui si mise in mezzo ed iniziò un canto”, del quale Giovanni ci riporta tra l’altro le seguenti affermazioni dello stesso Gesù:
“Al tutto é concesso in alto di danzare. Amen.
Chi non danza non sa cosa succede. Amen…
Se tu segui la mia danza, osserva te stesso in me che parlo… Tu che danzi, comprendi ciò che faccio…”


Secondo Giovanni, quelli che danzavano quella che ha battezzato la “Danza Circolare della Croce”, ne ricevevano due benefici essenziali:
1) Riuscivano a riconnettersi con la loro natura divina, trascendendo la dimensione della sofferenza umana
2) Identificavano dentro di sé lo Spirito, o coscienza Cristica.

Gli Atti di Giovanni furono condannati come eretici nel quinto secolo da Papa Leone il Grande, che affermò in proposito: “essi contengono uno scottante letto di perversità e non solo dovrebbero essere proibiti, ma bruciati col fuoco”.

Le religioni patriarcali hanno tentato da sempre di soffocare nell’individuo la libera espressione della sensualità da una parte e la manifestazione degli attributi divini dall’altra, per appiattire gli esseri umani sulla sfera del mentale, più facilmente controllabile per mezzo di morali, sensi di colpa, peccato, inadeguatezza, rendendo gli esseri umani rigidi sia dentro che fuori di sé.

L’espressione libera della propria sessualità/sensualità e la ricerca del divino dentro di noi sono state considerate da sempre le eresie più pericolose, da reprimere con qualsiasi mezzo e ad ogni costo, e non a caso: una persona sessualmente libera non é manipolabile per mezzo della repressione sessuale, delle nevrosi, dei messaggi subliminali contenuti nella pubblicità, della pornografia, delle perversioni sessuali, tutti fenomeni che esistono in Natura solo tra gli esseri umani, e solonelle culture fortemente patriarcali e repressive.

D’altro canto, lo spostamento del divino all’esterno dell’individuo rende necessaria la figura di un “costruttore di ponte” (pontefice), con tutte le strutture di potere che ne conseguono.
Le culture matriarcali e quelle sciamaniche, invece, hanno sempre proposto un rapporto equilibrato tra piano fisico, mentale e spirituale. Riti della fecondità, accoppiamenti sacri sono comuni al mondo tantrico indiano ed a quello celtico: il corpo viene considerato un tempio per la manifestazione del divino, uno strumento raffinato per mezzo del quale lo Spirito può fare esperienza nel piano fisico.

Negli ultimi anni le ricerche antropologiche hanno delineato un quadro delle origini della civiltà umana molto diverso da quello fornito dai libri di storia classici, pieni di rozzi scimmioni armati di clava nascosti in caverne buie e maleodoranti. Secondo i dati più recenti, invece, quella che viene chiamata “civiltà della dea” era estremamente raffinata, pervasa da una profonda spiritualità e caratterizzata da un equilibrio assoluto, sia sociale che spirituale, tra i due sessi. Solo successivamente, con l’avvento delle culture patriarcali, ci spiegano gli antropologi, si sono sviluppati valori di guerra, controllo, potere, territorialità, ed é iniziata la separazione tra i due sessi che ha relegato progressivamente le donne ad un ruolo marginale, dal quale stanno iniziando – a fatica - ad uscire forse solo negli ultimi decenni.


Nelle culture sciamaniche, invece, il ruolo femminile é essenziale perché si sa che la donna ha al tempo stesso una sensualità più matura e completa di quella maschile ed ha al tempo stesso una maggior facilità di utilizzo dell’emisfero destro del cervello, della parte intuitiva, più vicina ai messaggi del cuore e delle dimensioni spirituali.

Del resto, rileggendo in una chiave diversa lo stesso racconto della Genesi, vediamo chela donna é stata la prima a raggiungere la “conoscenza del bene e del male”, utilizzando anche l’energia del serpente (Kundalini...), dopo di ché ha condiviso tale conoscenza con l’uomo. Solo la comparsa di un dio patriarcale vendicativo ha posto fine all’equilibrio edenico, introducendo i concetti di sofferenza, vergogna, etc. che per millenni hanno bloccato la crescita armoniosa e gioiosa degli esseri umani. L’energia del serpente é stata schiacciata, e la modalità patriarcale ha subito mostrato il suo volto: fratricidio, invidia, separazione…

La prima parte del racconto edenico é comune a molte culture sciamaniche, nelle quali é regolarmente una figura femminile a portare la conoscenza: la Donna Ragno degli Hopi, Orejona nelle civiltà precolombiane, le sacerdotesse del mondo celtico…

Nella storia degli Hopi, popolazione tuttora matriarcale, non é mai stata combattuta una guerra; di fronte ai vari imperialismi storici: Navajo prima, spagnoli poi, statunitensi e ancora Navajo in tempi contemporanei, gli Hopi si sono sempre limitati a ritirarsi e spostarsi in zone via via meno appetibili, fino a finire sulle attuali tre mesa nel deserto dell’Arizona. L’unica battaglia cruenta combattuta nell’arco della loro storia millenaria é stata quella con la quale sono riusciti ad impedire l’ingresso dei missionari cattolici nella loro riserva perché – come racconta Dan Evehema, l’ultracentenario anziano della tribù che ho avuto l’onore di incontrare due anni fa in Hopiland – “le profezie ci avevano sempre avvisato che quello sarebbe stato il pericolo più grande per la sopravvivenza della nostra tradizione”.

Recuperare le tradizioni e le tecniche sciamaniche significa una preziosa opportunità per riappropriarsi di un bagaglio esperienziale che é quanto mai attuale proprio in un momento in cui lo sviluppo esclusivo della razionalità, unita alla consapevolezza ormai generalizzata dei limiti delle religioni patriarcali, lascia in molti un senso di vuoto, di distacco tra la propria mente ed il proprio Cuore.
Caccia all’anima e Trance Dance sono espressioni ancora viventi della cultura della dea; in realtà sono due aspetti di una stessa esperienza di riconnessione profonda.

Mentre la Trance Dance può essere praticata in forma autonoma come tecnica di ingresso in una dimensione interiore, la caccia all’anima si completa sempre con una fase di Trance Dance; é solo in questa seconda parte del rituale che si ha, infatti, la possibilità di integrare la guarigione sul piano fisico, di “riportare a casa fino in fondo” le parti di anima appena recuperate.

La mente analitica tende per sua natura a separare, parcellizzare, e identifica i due momenti del rituale come due esperienze diverse; ci sono addirittura persone in Occidente che propongono la sola caccia all’anima priva dell’aspetto integrativo, snaturando completamente l’approccio sciamanico a questa tecnica. Nella nostra cultura basata sulla mente, infatti, il viaggio sciamanico “fa più rituale”: sembra più affascinante, più magica. Siamo troppo abituati a privilegiare le esperienze mentali ed intellettuali rispetto a quelle fisiche, e questo ripropone la divisione corpo/mente che il lavoro sciamanico mira invece a superare.

Non esistono esperienze privilegiate nello scorrere della vita, così come non esistono momenti privilegiati nei rituali sciamanici; come in fisica ed in chimica, il tutto é di molto superiore alla somma delle parti: l’acqua é qualcosa di molto diverso dalla mescolanza di due gas (idrogeno e ossigeno).

Chi conosce l’esperienza della Caccia all’Anima sa che la danza che completa la prima caccia, quella all’animale di potere, può costituire un’esperienza di grande potenza: ricordo, quando ho danzato l’avvoltoio, di aver percepito il suolo sul quale poggiavano i miei piedi come qualcosa di estremamente lontano, come se effettivamente mi stessi librando nell’aria a grandi altezze; muovevo le dita delle mani come se reggessero e spiegassero due ali. Stavo realmente “volando”, e il fatto di essere bendato mi ha aiutato a entrare fino in fondo nell’esperienza. A livello interiore, l’esperienza é stata molto simile a quella che gli sciamani chiamano “shapeshifting” (mutazione di forma)…

Per informazioni sull'attività di Giancarlo Tarozzi e dell'Associazione Pachamama, consultare il sito web.tiscali.it/pachamama, scrivere a pachamama@inwind.it o telefonare al 069032785 o al 3387255800.


(04/08/2006)