Quando prepariamo un piatto in casa, ci riteniamo sicuri della genuinità del prodotto finale semplicemente perché lo abbiamo preparato noi.
In realtà la nostra sicurezza è giustificata solo se abbiamo selezionato uno per uno tutti gli ingredienti del nostro piatto, così come dovremmo selezionare i prodotti confezionati che acquistiamo non solo in relazione ai prezzi, ma anche in base alle loro etichette.
In effetti oggi sono ben poche le persone che hanno tempo da spendere “davanti ai fornelli“, quindi si ricorre in maniera sempre più frequente all’ uso di piatti e condimenti già pronti, ma non sempre rispondenti alle aspettative.
Spesso, fra un prodotto ed un altro, è possibile riscontrare notevoli differenze di prezzo senza che sappiamo spiegarcene il motivo.
In questi casi, si preferisce acquistare l’ articolo meno costoso: ”Perché pagare di più per dei prodotti apparentemente uguali ?”
Il fatto è che, invece, nella maggior parte dei casi la qualità è molto diversa.
Se per esempio confrontassimo alcune varietà di pasta all’ uovo, scopriremmo che la percentuale di uova utilizzate per la produzione può passare dal 19% circa di una marca, fino al 40% ( più del doppio ) di un’ altra; motivo per cui anche il sapore e i relativi prezzi di vendita non potranno mai essere allineati, nonostante sia permesso (dalle leggi in vigore) che abbiano in comune la denominazione generica ”pasta all’ uovo”.
Un altro valido esempio ci è dato dal sugo pronto al pesto. Confrontando alcuni vasetti di pesto, ci si può rendere conto di quanto siano poco numerosi i produttori che utilizzano il Parmigiano Reggiano e che le quantità di formaggio Grana Padano, quando presente e non “sostituito” da altri formaggi meno pregiati, possono variare fra una marca e un’altra anche del 5%. Infine, ci si rende conto che, molto spesso, per i prodotti non controllati dai vari consorzi, dobbiamo affidarci all’onestà delle dichiarazioni del produttore.
Il punto è che se, da una parte, salvo possibili casi sporadici e isolati, le informazioni riportate sull’etichetta sono “sincere”, cioè a norma di legge, dall’altra troppe volte sono talmente generiche da diventare “poco limpide”, ovvero poco decifrabili nella loro completezza da un utente comune.
|
|
Proprio per questo i sapori genuini vengono sovente sopraffatti o completamente sostituiti non solo da ingredienti poco costosi, ma anche da aromi, che creano gusti falsati nella bocca e tendono a far perdere ogni traccia della buona e tradizionale cultura gastronomica del nostro Paese.
Riporto come esempio il caso del risotto al tartufo: sfido i lettori, trovandosi davanti ad uno scaffale di risotti di un negozio qualsiasi, a capire quanto tartufo c’è nel prodotto scelto e di quale specie.
E’ possibile che ci i trovi davanti a quantità e qualità estremamente differenti tra un articolo e l’ altro: si va dal 3% di tartufo contenuto, all’ 1%, fino a oltre lo 0,02%. In qualsiasi caso, infatti, il gusto è assicurato da anonimi aromi (artificiali). E non solo! Se si fa un’analisi appena di poco più attenta, si noterà che alcune aziende, trasparentemente, indicano le specie utilizzate, mentre altre in etichetta scrivono semplicemente “tartufo“.
Indice di sospetta generalizzazione, dal momento che il prezzo del tartufo nero pregiato (tuber melanosporum) si aggira intorno ai 1000 euro al kg, mentre quello del tartufo estivo, solo per fare un esempio, (tuber aestivum) è di gran lunga inferiore.
Esistono, inoltre, specie di tartufo estere che, pur avendo prezzi molto più accessibili rispetto a quelle nostrane (ad esempio il tuber indicum cinese che costa anche 30 volte meno), risultano qualitativamente più limitate.
Le leggi attualmente in vigore permettono, quando un ingrediente (come i funghi o lo zafferano) è utilizzato in quantità minime come aromatizzante, di non fornire indicazioni dettagliate su di esso, forse leggi un pò troppo “leggere” nei confronti di grandi produttori alimentari industriali. Quello di cui, invece, avremmo bisogno sono una differenziazione e una maggiore trasparenza nella dicitura dell’etichetta, ovvero renderla più verosimile e coerente con il prodotto che dovrebbe rappresentare. Questo sia nell’ interesse dei consumatori sia per tutelare più adeguatamente dei prodotti particolari e tipici non ancora protetti dalla DOP (Denominazione di Origine Protetta ).
Per evidenziare ulteriormente i limiti delle vigenti legislazioni, basti pensare che fra le salse al tartufo o tartufate, addirittura, alcune contengono del tubero soltanto l’aroma, perlopiù artificiale.
Non ritengo, inoltre, corretto, anche se i produttori interpellati rispondono il contrario, il fatto ce spesso in etichetta la traduzione dell’ ingrediente “aroma di tartufo” sia “truffle“ in inglese, “truffe“ in francese e “truffel“ in tedesco, che significa, appunto, tartufo e non aroma di tartufo (come confermato anche dall’ associazione dei consumatori svizzeri Konsumentenforum).
Immaginate un turista che in Italia acquisti una salsa simile, tratto in inganno dalle traduzioni sbagliate: egli vedrebbe materializzarsi nella confezione un ingrediente che, in realtà, non c’ è !!!
Penso proprio che in questi casi, di “tartufata“ … ci sia solo l’ etichetta.
|
|