Noi, figlie dei mitici Anni Sessanta, di anni oggi ne abbiamo cinquanta ed anche qualcuno di più, ma continuiamo a sentirci “ragazze” sebbene voci infantili si rivolgano a noi chiamandoci nonna.
Nonna? Di già? Ma come è possibile se solo ieri ballavamo in discoteca sino al mattino in minigonna e stivali lunghi alla coscia?
Guardiamo gli ombelichi scoperti delle nostre figlie e nipoti e ci viene da sorridere… Trent’anni fa Raffaella Carrà, sulle note del Tuca Tuca, ci fece provare il proibito piacere di denudare il pancino, ma già tempo prima, in barba al freddo e all’igiene, camminavamo a piedi nudi per strada – i lunghi capelli al vento – sentendoci tutte Sandie Shaw, la “cantante scalza” di sanremese memoria…
La minigonna, poi, ne vogliamo parlare? E’ una moda di oggi o l’invenzione di una certa signora, l’anglosassone Mary Quant, che in quegli anni mise a nudo le gambe di mezzo mondo?
Ci scrutiamo allo specchio. Il fisico, forse, negli anni si è un po’ appesantito e più di una ruga tesse sul volto un ricamo che non avremmo voluto, ma dentro di noi si intravede ancora quella ragazza che, con la luna negli occhi, cantava stonata “Sapore di Sale”, picchettava la scuola e raccoglieva firme per il diritto all’aborto e per il divorzio…
Nonne, mamme o single di cinquant’anni e passa, ecco ciò che l’anagrafe dice di noi… Ma nessun documento o registro annota quanto ci è costato diventare le donne adulte che oggi sembriamo.
Per essere quello che siamo abbiamo pagato uno scotto spesso pesante.
Siamo le madri “matuse” di figlie che di noi sanno poco e siamo le figlie di madri che di noi sanno ancor meno.
Siamo le ex mogli di uomini “fichi” che – l’avete voluto il divorzio? – ci hanno lasciate per risposarsi con agguerrite giovani donne che loro sì che li sanno capire…
Ed ancora, siamo le nonne che il sabato sera vorrebbero, tanto, andare a ballare ma che, soffocate da atavici sensi di colpa, restano a casa a spupazzarsi nipoti viziati ai quali non si può neanche raccontare una fiaba perché le mamme ce li scaricano a casa muniti dell’ultimo videogiochino.
Se, poi, non siamo né nonne e né mamme e conduciamo una “serena” vita da single, siamo le “beata te che non ti sei mai sposata”, che non hai figli, che non hai problemi e preoccupazioni, che non hai, non hai, non hai…
Quante cose abbiamo e non abbiamo, siamo o non siamo per gli altri… ma a noi, in fondo in fondo, poco importa.
E’ vero, non ne possiamo proprio più di culetti svettanti e di seni al vento, di una televisione e di una editoria che declamano – con pervicacia insistenza – che se vogliamo esser felici dobbiamo, per forza, essere giovani e belle.
Noi, figlie dei “favolosi” Anni Sessanta, resistiamo – chi più chi meno – alla tentazione di piombare nella depressione più nera o di correre nel primo istituto di chirurgia estetica per “tirare su” una natica o un doppio mento perché sappiamo che così non è.
Noi che abbiamo visto erigere il “Muro di Berlino”, che abbiamo vissuto in diretta lo sbarco sulla Luna ed abbiamo pianto per i nostri coetanei caduti in Vietnam, noi che abbiamo sognato con Kennedy una nuova frontiera e che ci siamo strappati i capelli per i Beatles o per i Rolling Sttones… noi abbiamo ancora ideali che ci fanno volare.
Noi, le ragazze degli Anni Sessanta, sappiamo bene di avere cinquant’anni o qualcuno di più… ma il nostro cassetto è sempre pieno di sogni e molte, tra noi, incuranti del tempo, si chiedono ancora: cosa farò da grande?
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