Si discute molto, sui quotidiani degli ultimi giorni, se il varietà sia morto e da quanto, se la colpa sia o no della pubblicità e dei nuovi meccanismi che regolano il sistema televisivo.
Gli ascolti del nuovo show del sabato sera, condotto da Baudo, hanno registrato una delusione di aspettative, un cedimento dei vecchi amanti del genere. E Antonello Falqui, in un’intervista a Repubblica, dice che in tv non si sogna più; consegna all’Auditel e alla tv commerciale la responsabilità di aver spinto la gloriosa Rai dei Canzonissima, di Studio Uno e Teatro 10 in un gioco a ribasso che –a quanto pare- tocca il fondo di giorno in giorno. E ormai raschia anche quello.
Vista da chi ai tempi di Falqui era solo un progetto nel pensiero di Dio, la tv di oggi è una noia mortale, un deserto d’informazione e di creatività, un’offesa persino per la famosa casalinga che ormai –con buona pace dei peggiori “esperti”- capisce tutto, si annoia e vorrebbe vedere altro. Forse l’alternativa di Baudo non c’entra niente con il possibile recupero della qualità in tv. Perché, per quel poco che se ne è riuscito a vedere, lo spettacolo di Baudo non è altro che il riciclaggio tout cour di una vecchia idea del varietà. Eppure le generazioni sono cambiate, e la sensibilità collettiva è stata modificata dalle abitudini sociali, dalla storia, dai telefonini... Chiunque abbia a che fare pure con la comunicazione, fino al più semplice degli intrattenimenti –che poi semplice non lo è- deve almeno tener conto del destinatario.
Troppo spesso e con sempre maggiore disinvoltura si sottovaluta l’utente. Perché, alla fine, è questo che siamo, noi tutti che ci sediamo davanti allo schermo: degli utenti. Aventi diritto. Non siamo dei consumatori di detersivi o pannolini, non siamo dei compratori d’auto o clienti di banche o indossatori di profumi e orologi. Quando dedichiamo tempo alla visione di un programma non è per perderlo. Quando stiamo a sentire un talk-show non è per assistere al peggio della natura umana.
Non è possibile e non è neppure credibile che l’alternativa a una tv commercial-popolare siano i documentari di Piero Angela e quelli di Gaia-il pianeta che vive. Deve poterci entrare tutto, in un’idea di alternativa: lacrime, risate, scoperte, ricordi, prospettive. Devono esserci professionisti al lavoro in un progetto di rinnovamento della televisione pubblica. E ci deve essere il coraggio di puntare in alto, anche se lo scopo è soddisfare lo spettatore medio.
Si chiede un po’ di più, lo chiederebbe l’opinione pubblica –se ce ne fosse ancora una autorizzata- ed è questo il segno più chiaro che l’Auditel non basta e forse neppure serve. L’Auditel non da’ lo stesso esito, non corrisponde mai con ciò che abbiamo visto la sera prima –noi o il vicino di casa, il signore sull’autobus o la cassiera del supermercato- ed è strano che un sistema sconnesso dalla realtà determini lo stile di programmi che nessuno comunque vedrà. E che addirittura la pubblicità ne ricavi dei profitti.
Persino chi non c’era ha nostalgia di Falqui e di tutte le belle idee che si sono avute e che hanno avuto occasione d’esistere. Ma tornare a Baudo anni ’80 non si può, no. Sarebbe un regresso e non è di un rifugio nel passato che c’è bisogno. Qualcuno ha detto che “la bellezza salverà il mondo”. E’ di questo che c’è bisogno. Esclusi concorsi, facce di plastica e straveline.
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